Non eccellendo nelle attività fisico-motorie, ho scarsa affinità con la pratica del linciaggio. Un tempo, chi sentiva di possedere una certa sovrabbondanza di energie, poteva partecipare a queste vivaci sgambate collettive che, a seconda dei casi, si concludevano con l’impiccagione di un uomo di colore, il massacro di un assassino, lo smembramento di un soldato o l’accoltellamento e l’evirazione di un presunto pedofilo. In ogni caso, due d’ore trascorse all’aria aperta, un vigoroso esercizio ginnico e l’opportunità, per i giustizieri assatanati del quartiere, di stringere amicizie anche durevoli e proficue.
Ripeto: essendo pigro e, in fondo, non troppo socievole, difficilmente avrei partecipato a un linciaggio perfino quando era, a tutti gli effetti, un modo infallibile per digerire il pranzo, smaltire qualche caloria e incoraggiare la circolazione sanguigna. Devo però confessare che anche oggi, quando il linciaggio, grazie ai social network, è diventato pratica per sedentari, mi astengo dal contribuire. Non posso evitare, però, di notarne tanti: ogni giorno assisto all’accumularsi di commenti che, prendendo di mira qualche soggetto, mirano alla sua distruzione psicologica, non potendo più - o tempora, o mores - ambire a quella fisica.
D’altra parte, ci vuol poco perché un buon linciaggio prenda animo. Basta che qualche individuo con inclinazioni scarsamente difendibili metta fuori la testa - un amante della caccia grossa, un politico tangentaro, un poliziotto sfacciato, un immigrato violento - e il gioco è fatto. In questo, la tradizione è rispettata: da sempre il linciaggio ha giustificato se stesso come pratica brutale ma virtuosa: come disporre altrimenti di un pedofilo, di un assassino, addirittura di un essere che osa avere la pelle di colore diverso? Eppure la pratica del linciaggio, vista con oggettivo distacco, non può che disgustare, quella “virtuale” non meno di quella concreta. Che fare? L’unica soluzione sarebbe quella di consegnare il linciaggio alle categorie esecrabili di cui sopra. Ma allora qualcuno griderebbe: «Dàgli al linciatore».
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