Declinare il futuro

Declinare il futuro

Una delle cose più affascinanti del linguaggio è che non risponde alle leggi della fisica. Ignora la gravità, se ne fa un baffo della termodinamica e, immerso nell’acqua, non riceve spinte né dal basso verso l’alto né da ogni altra direzione. Eppure, forse per inerzia (altra proprietà fisica), noi consideriamo le lingue come meccanismi diversi nell’esteriorità - il suono, il ritmo - ma simili nell’intimo, ovvero nel significato dei termini e nella proiezione visuale che detti termini creano a livello di immaginazione.

Il lavoro di Lera Boroditsky dell’Università di Stanford, Stati Uniti, dimostra quanto ogni lingua sia un mondo a sé. Le percezioni che accompagnano l’inglese non sono le stesse che si combinano con il cinese mandarino. Boroditsky propone un esempio illuminante: «Le persone di madrelingua inglese» dice, «tendono a parlare del futuro in termini orizzontali: "un futuro davanti a noi", "il passato alle spalle". In mandarino, questo concetto viene spostato in verticale: le cose nuove "spuntano dal terreno", quelle vecchie "sprofondano" in esso».

Mi sembra interessante che, per afferrare lo stesso concetto, la mente umana possa ricorrere a piani diversi a seconda della lingua con la quale si cerca di inquadrare il concetto in questione. In fondo, è proprio questa la radice della diversità culturale del pianeta. O almeno lo era, visto che oggi la globalizzazione costringe tutti - inglesi, cinesi e italiani - a cercare il futuro non davanti, non sopra, ma in fondo a un pozzo.

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