Di che cosa stiamo parlando?

Posso solo immaginarlo - non ne ho esperienza diretta - ma credo che chiunque si appresti a misurarsi in un talk show abbia necessità di portare con sé qualche attrezzo. Imprescindibile, naturalmente, il «mi faccia parlare, io non l’ho interrotta»: una sorta di rompighiaccio per non rimaner incagliato nella maleducazione altrui e procedere con la propria. Molto utile, suppongo, anche il «mettetevi un po’ d’accordo»: basta far rilevare una contraddizione, anche minima, nel fronte avversario per suggerire che, da quella parte, regna il caos più assoluto. Altro strumento, più sottile ma efficacissimo, è il «ma di che cosa stiamo parlando?»
Fateci caso: sempre più spesso, in tv, politici e giornalisti vi fanno ricorso. A che cosa serve? Semplicemente a togliere il terreno sotto i piedi dell’avversario il quale, se volete apprezzare la similitudine, procede lanciato come un treno sui binari: con il «ma di che cosa stiamo parlando?» voi, i binari, li fate scomparire.
Come si usa? Occorre farlo precedere da una premessa, ovvero una constatazione tanto banale, ovvia e scontata da non poter essere contraddetta, neppure dal più fiero oppositore. Che so? «Berlusconi ha vinto le elezioni». Oppure: «Il parlamento sta a Roma». Ancora: «Il pollo ai peperoni è parecchio gustoso». Non appena l’antagonista, con una smorfia, dovrà ammettere che sì, su Berlusconi, sul parlamento e sul pollo avete ragione voi, ecco che trionferete: «Ma, allora! Di che cosa stiamo parlando?»

© RIPRODUZIONE RISERVATA