Abbiamo i nostri problemi qui, vicino casa, ma anche laggiù, all’orizzonte, non è che le nubi promettano niente di buono. Non vorrei indurvi a rinunciare all’ottimismo anche se, sia chiaro, esso non è e non è mai stato il profumo della vita. Il profumo della vita, semmai, è quello che si sente dopo la pioggia quando è appena passato un bus, ma questo è un altro discorso.
Ottimismo intatto, dunque, ma un sopracciglio ci sarà concesso di aggrottarlo alla notizia che Donald Trump è intenzionato, se eletto presidente degli Stati Uniti, a trattare con il leader nordcoreano, il paffuto Kim Jong Un.
Mai come in questi casi si vorrebbe farsi mosca: sarebbe possibile assistere alla conversazione tra i due e nel contempo provare l’ebbrezza di attaccarsi ai muri.
Ammesso che sia possibile individuare una stanza capace di contenere l’ego di entrambi, su quali premesse si fonderebbe questo fatidico “faccia a faccia”?
Non so voi, ma se entrando in un negozio mi trovassi di fronte l’imbronciato Trump, dubito che farei acquisti. Avrei il timore di venire insultato e turlupinato nello stesso momento. Con la fiducia in se stesso che ogni momento dimostra, il formidabile Donald non sembra granché competente. In nulla. Ho l’impressione che, se fosse medico, l’ospedale a lui affidato vedrebbe un’inaspettata rinascita del “beri beri” e se fosse ingegnere i suoi ponti avrebbero sì campate ardite, ma dirette contro il fianco di una montagna o negli abissi del mare.
Di Kim Jong Un, poi, è meglio non parlare. La Corea del Nord sembra a volte un gigantesco Truman Show allestito intorno a questa specie di bamboccione: uno spettacolo insensato per fargli credere di essere un vero dittatore.
Dovessero mai incontrarsi, Donald Trump e Kim Jong Un parlerebbero di armi nucleari. Ecco spiegato perché non possiamo fare a meno dell’ottimismo di cui sopra.
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