Così, è stata la settimana del Grande Cambiamento. Sabato scorso, 18 giugno, vivevamo nel Mondo Vecchio; oggi, sabato 25, viviamo in quello Nuovo. Questo perché, con il voto, abbiamo voluto cambiare.
Con il sottinteso “noi” voglio dire “alcuni di noi”, ma sento di poter estendere comunque l’uso del pronome di prima persona plurale perché la minoranza che ha votato lo ha fatto in un certo senso in rappresentanza di tutti, è diventata cioè avanguardia e, nonostante le promesse, gli ammonimenti, le preghiere, gli spauracchi e perfino le minacce, ha deciso di abbracciare il Cambiamento votando di testa (e pancia) sua.
Il riferimento, ovvio, è al voto per i Comuni in Italia - che ha consegnato Roma e Torino ai 5Stelle - e al referendum in Gran Bretagna che ha visto prevalere, nonostante l’opposizione dei partiti tradizionali, la fazione a favore dell’uscita dalla Ue.
Eventi difficili da collegare e da paragonare, direte voi. Come darvi torto? Non c’è proporzione tra il voto per il sindaco e la scelta pro o contro Europa di una nazione di 60 milioni di abitanti. Non c’è proporzione e neanche affinità: parliamo di cose diverse accadute a latitudini diverse. Eppure, le si può considerare figlie entrambe di questa montante insofferenza per l’establishment (ovvero per le istituzioni, nel caso fossero banditi i termini inglesi), e dell’arrembante sfiducia per la politica “tradizionale”. La pressione è aumentata, ancora e ancora, fino a sfondare ciò che molti consideravano tabù.
Oggi a Milano, Torino e Londra si vive, sia pure in frangenti diversi, oltre il tabù e noi tutti abbiamo l’occasione di vedere che cosa succederà. Se la speranza di chi ha voluto cambiare era solo illusione o rappresentava invece il preludio della salvezza, e se la rabbia di chi protestava diventerà sabbia o piedistallo del miglioramento. Ma lo vedremo solo se qualcuno saprà raccontarcelo con equilibrio, intelligenza, coraggio, onestà. Cose il cui valore non c’è voto che possa discutere.
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