Non ho mai tenuto un diario e forse è proprio questa la ragione che le mie giornate vanno via via riempiendosi di rimpianti. Avessi fissato in poche righe il riassunto di ogni giorno, con tenacia e costanza, forse tale sensazione di irrecuperabile spreco non sarebbe così vasta: sfogliando le pagine a ritroso avrei sempre potuto trovare qualche ricordo intatto, restituire un senso, o una giustificazione, ad azioni che, ripensate a distanza di anni, sembrano bizzarre o insulse.
Chi ha studiato i diari e i loro compilatori ha fatto la scoperta, non molto sorprendente per la verità, che è la memoria a trarre i maggiori vantaggi. I "diaristi" sembrano avere una memoria molto organizzata, per accedere alla quale non hanno neppure bisogno di rileggere le pagine scritte tempo addietro. È come se la quotidiana operazione di sintesi scritta consegnasse un ricordo pronto all'uso non solo alla pagina ma anche al cervello.
Attenzione, però: gli esperti dicono che per ottenere il massimo dal proprio diario bisogna dedicarvisi a fine giornata. Provarsi a farlo il mattino dopo, se non è inutile poco ci manca. Ciò sembra confermare una mia curiosa teoria sull'autonomia dei singoli giorni, secondo la quale quello nuovo cancella il precedente in più modi. Di questo però vorrei parlarvi un'altra volta. Oggi devo vedermela con questa faccenda del diario e del rimpianto per non averne tenuto uno. Ritengo che incominciare ora sia troppo tardi: più di metà della mia vita se ne è andata. Non resta che tentare un esperimento, un po' folle, probabilmente inutile: un diario a ritroso, tutto inventato. Ogni giorno immaginare una sintesi di ore mai vissute, andando indietro nel tempo. Oggi scriverei il diario di ieri, domani quello dell'altroieri e così via: diventerebbe, forse, un romanzo schierato contro la forza del tempo. Ultima pagina, ovviamente, il giorno della nascita, nella quale concedermi, grazie all'estremo inganno verso me stesso, un poco di innocente speranza. Il lieto fine dell'inizio.
© RIPRODUZIONE RISERVATA