L’altro ieri, martedì 20 agosto, la Camera dei deputati ha riaperto giusto per due ore nel corso delle quali ha accumulato una serie di imbarazzanti incidenti tale da giustificare, il giorno dopo, intere paginate dei giornali.
Avrete forse letto che cosa è successo: convocata per un adempimento circa il decreto sui “femminicidi”, l’Aula si è concessa un dibattito sincopato sul tema «È giusto essere qui o no?» che ha visto affrontarsi, da una parte, la presidente Boldrini con i “vendoliani” e, dall’altra i “grillini”.
In due ore, nel bel mezzo di agosto, la Camera ha dunque trovato il modo di aprire una parentesi per ricordare a tutto il Paese quanto patetica e confusa sia la pattuglia che la affolla.
Parlare di affollamento, a dire il vero, è alquanto improprio: dei 630 deputati se ne sono presentati 140, ovvero il 32% di Scelta civica, il 25% dei leghisti, il 21% dei grillini e di Sel, il 15% dei democratici e il 4% del Pdl.
L’infelice seduta ha sollevato per l’ennesima volta l’indignazione nei confronti dei parlamentari ma, ormai, è chiaro che si tratta di un riflesso condizionato. Più utile e consapevole sarebbe chiedersi come mai chi si ritrova a occupare un posto nell’austera Aula diventa parte integrante di un meccanismo capace solo di produrre imbarazzo e incomprensione e di perfezionare, giorno dopo giorno, l’alienazione del Palazzo dal Paese.
Appartengono forse, i parlamentari, a una particolare razza lazzarona che, anche prima di essere eletta, ha impressa nel Dna, nonché nel destino, la destinazione istituzionale? Tutto si può dire ma non che la legislatura in corso non abbia rinnovato in misura significativa i ranghi dei parlamentari. Dunque non si tratta più solo dei “soliti, vecchi arnesi”: anche i “nuovi arnesi” si rivelano inadeguati, faziosi, goffi e ignoranti. Sarà l’acqua di Montecitorio? Sarà il caffé? O sarà piuttosto che - ci avrete fatto caso - tra i parlamentari figura un’altissima percentuale di italiani?
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