Differenza

Differenza

Sin dall’annuncio della sua ricandidatura, su Berlusconi si è ricominciato a dire di tutto. Qualcuno ha parlato di «barzelletta» ma, a difesa dell’uomo, va fatta osservare un’ovvietà: se quello di Berlusconi è un patetico rientro sulla scena e suona a monito dell’incapacità della classe dirigente italiana di rinnovarsi, bisogna anche osservare come, per uno che torna, tutti gli altri non hanno mai lasciato.

Alle prossime elezioni politiche ritroveremo dunque Berlusconi - e la cosa fa scandalo - ma anche Casini, Bersani, Fini, Di Pietro: tutta la gang che, non per qualche mese, ma nemmeno per un’ora ha mai pensato di farsi da parte. Sull’arteriosclerosi della società italiana basti dire che Beppe Grillo, il nuovo che avanza, è una faccia apparsa in televisione per la prima volta nel 1977.

Inutile a questo punto, sostenere la necessità del «rinnovamento»: in Italia la parola assume, al massimo, un significato gattopardesco, nel senso che il nuovo è quasi sempre un’illusione volta ad assicurare il perdurare del vecchio. Piuttosto, un’idea utile - e, a modo suo, veramente innovativa - sarebbe quella di immergerci nel passato fino in fondo, recuperarlo tutto, in blocco, senza discriminazioni, e non solo quella parte che fa comodo a qualcuno. Perché mai, infatti, se alle elezioni dovremo scegliere ancora tra La Russa, Franceschini e Maroni, non dovremmo poter scegliere anche tra Cavour, Mazzini, Giolitti, De Gasperi e, crepi l’avarizia, perfino Giulio Cesare? Io ce lo vedrei, il Gioberti, a "Porta a Porta": certamente non direbbe cose meno intelligenti di Cicchitto. Un "Ballarò" giocato sul confronto tra Cicerone e Catilina sarebbe certamente più vivace e linguisticamente opulento di una zuffa tra Gasparri e la Bindi.

C’è il problema che tutta questa gente è morta. Vero, ma, onestamente, credete che qualcuno noterebbe la differenza?

© RIPRODUZIONE RISERVATA