Leggo spesso del “peso” fiscale, di come le imposte “schiaccino” le imprese e i privati, di come i prelievi richiesti ai contribuenti rappresentino un “carico insopportabile” e trasecolo: da quando le tasse hanno un peso specifico così importante, da quando sono diventate “pesanti”? Per me, e lo dico con sincerità, le tasse sono leggerissime.
Mi spiego prima che chiamiate un’ambulanza per farmi portare via (chiamatela lo stesso, non si sa mai). Ciò che mi preoccupa (e spaventa) nelle tasse non è tanto il loro “peso” quanto il loro numero. Dovrei mettermi a tavolino e fare due conti ma, a fronte delle tante proteste che esigono una riduzione delle principali imposte (Irpef, Imu o come diavolo si chiamerà adesso, tasse regionali), io dico: fatemi pure pagare tutta questa roba così come è adesso basta che mi togliate di torno quella miriade di minuscoli, infidi, irragionevoli e perfino schifosi balzelli “leggeri” che trovo nascosti sotto ogni sasso.
Basta avere il fegato (e lo stomaco) di leggere una bolletta del gas (o del telefono, o della luce) per scoprire, incrostata sui metri cubi, sui kilowattora e sugli scatti alla risposta, una tenace flora batterica di bolli, diritti fissi, canoni e contributi alla dentiera della zia dell’amministratore delegato da far perdere la ragione a un onestuomo. Gli stessi prelievi inspiegabili vengono applicati dalle banche, dai gestori di canali tv satellitari e terrestri, dagli enti che distribuiscono acqua potabile, dalle pompe di benzina per conto del governo e in ogni singolo maledetto ufficio, dagli enti pubblici. Ogni pratica - spesso imposta al cittadino al di fuori di ogni logica - strappa il suo brandello di risorse: per il bollo, per la marca elettronica, i diritti di segreteria, la provvigione regionale e, come diceva Alberto Sordi in un memorabile film, «per tutti i c... che ve se fregano».
Vogliate scusare la caduta di stile ma, se volete un articolo sempre a punto, educato e pulitino, allora sganciate un euro e dieci. Diritto di educazione.
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