«Ansa: Ostuni (Brindisi) - Il soffitto di un’aula della scuola elementare Pessina di Ostuni è crollato durante le lezioni. Almeno due bambini sono rimasti feriti e sono stati portati in ospedale. La scuola è stata di recente sottoposta a interventi di ristrutturazione».
Mi dispiace per i bambini feriti, mi dispiace più di quanto voi potete credere, ma da cercatore di “epifanie” - perché tali aspirano a essere, imprudentemente, questi scritti - non posso che abbandonarmi a un’imbarazzante esultanza: anche oggi (ovvero ieri, per chi legge) il mio compito risulta evaso, la mia fame soddisfatta, il mio vuoto risolto.
Non c’è infatti manifesto migliore della precarietà italiana del brano di agenzia riportato più sopra. Nelle prime due frasi si dà conto di un fatto di cronaca: il soffitto di una scuola crolla, due bambini - almeno due - rimangono feriti; nella terza si fotografa l’anima del Paese, il suo paradosso intrinseco, l’incapacità assoluta di cogliere il ridicolo che pure l’ammanta: «La scuola è stata di recente sottoposta a interventi di ristrutturazione». E meno male!
Il bello è che la denuncia insita in quel terzo periodo - lavori effettuati male, al risparmio, appalti discutibili, imperizia: tutto ciò, come minimo, dovrà essere accertato - servirà invece a tutt’altro: non a scuotere le coscienze ma a sollevare la polvere dei calcinacci. Invettive, polemiche, tweet salaci, talk show, persino rubriche come questa, soddisfatte della loro piccola dose d’indignazione quotidiana.
Ma è proprio perché tutto è polvere, riflettori, effetti di luce, retorica e superficialità intellettuale che i soffitti crollano, i cavalcavia si sgonfiano e gli ospedali sono edificati con gesso e cartapesta. Contro le speculazioni non c’è vigilanza della ragione, filtro della moralità, autorità della giurisprudenza. Un giorno leggeremo il titolo: «L’Italia è crollata. Era in fase di ristrutturazione da circa 150 anni».
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