Disperati a casa

Mettersi in viaggio significa anche coltivare la speranza di pensieri nuovi. Addirittura, cadiamo nella tentazione di essere capaci di nuove idee. E' vero, in parte: c'è chi ci riesce bene, altri portano con sé polveri, sedimenti e sbiaditi paesaggi. Tra i viaggiatori pensanti – ce ne sono molti – mi piace rileggere Flaiano. Non era un entusiasta, per prima cosa. Nello scrivere, diffida, e maneggia la nuova realtà a suo uso e consumo. C''è nel “Diario degli errori” un passo sul turismo:

“Il turista è un essere che non rimane ferito da ciò che vede. Una donna che passa basta a sconvolgere l'ipotesi della mia vita, prospettandomene un'altra. Una casa che avrei voluto abitare, un paese dove avrei voluto nascere e uno dove vorrei morire”.

Trovo poi un bellissimo – anche se un po' crudele – passaggio sul grigiore del ritorno:

“Triste ritorno in Italia, che mi appare un paese di giocatori di totocalcio. Squallore. Da Ventimiglia a Genova, grassa signora che chiede un passaggio. Forse vuole fare una marchetta. La lascio in un caffè di Genova dopo aver preso un panino. Scrivo queste cose perché possono servirmi. Inutile abbondare in particolari”.

E infine la delusione, con cui fare i conti:

“Il tempo fuori casa mi viene contato. Non ne sono padrone, lo subisco, non riesco a utilizzarlo. Lunghe giornate passate in albergo, o a passeggiare, guardando le vetrine. Necessità di essere sempre pronto a partire. Incapacità di afferrarsi alle cose. I sentimenti stessi diventano provvisori, come in una sala d'aspetto, dove gli oggetti ci colpiscono per la loro bieca inutilità. Si cede alla consolazione del cibo. Si diventa implacabili nell'ozio”.

Viaggiare così costa parecchio e non sono neppure sicuro che ne valga la pena. Le parole da viaggio sono come i souvenir: così belli in negozio, così disperati a casa.

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