Bombardati dalle notizie sulla Grecia, ascoltati in rispettoso silenzio i commenti di Brunetta e Vendola sulla vittoria del “no”, sarete forse ora dell’umore giusto per concedervi una pausa. Se così fosse, vi invito a prendere il largo dalle meravigliose coste elleniche per far rotta sul Paese più povero del mondo.
Benvenuti nella Repubblica Democratica del Congo. Se per caso decideste di stabilirvi qui, insieme agli altri 70 milioni di abitanti del Paese (dieci più dell’Italia), sarà meglio che consideriate un dato: la vostra aspettativa di vita scenderà a 49,6 anni, dagli 82,9 che vi toccano oggi. Abbiamo qualche problemuccio di igiene qui, vedete, e poi c’è la guerra civile che, si calcola, ogni anno esige un tributo di 45mila vite umane. Per fortuna, i congolesi continuano a nascere, rimpiazzando coloro che cadono sotto i colpi dei machete e dei kalashnikov. Non che la guerra sia l’unico problema: oltre l’1 per cento della popolazione è affetta da Aids, e malaria e febbre gialla sono malattie piuttosto diffuse. Secondo l’Unicef, causa malnutrizione circa il 45 per cento dei neonati avrà problemi di crescita.
Con questo, non intendo biasimare i media e, in generale, l’opinione pubblica per aver parlato tanto della Grecia e zero del Congo. La ragione è evidente: la Grecia fa parte – per ora – della famiglia europea e quindi la cosa ci riguarda direttamente. Questo, senza contare i profondi e antichi legami culturali che ci avvicinano. È come se si fosse ammalato un parente: alla preoccupazione per le sue condizioni si aggiunge il timore che sia contagioso. A ben guardare, però, non è che il Congo sia così diverso: si parla francese, qui, è la popolazione è in maggioranza di religione cristiana.
Bisogna dire che l’Italia qualcosa ha già fatto: nel 2001 ha cancellato il debito con il Congo. Non è molto, ma qualcosa. Ora potrebbe fare dell’altro: per esempio mandare qui in vacanza qualche solone e fargli misurare la distanza tra le sue idee e la realtà.
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