Dove sei?

Dove sei?

Il proliferare delle realtà virtuali ha aumentato i posti in cui le persone vorrebbero trovarsi invece di dove effettivamente si trovano. Mi spiego. Questa faccenda del desiderare di essere in luoghi diversi rispetto a quelli nei quali siamo, è una dannazione connotata al genere umano. Siamo al lavoro e vorremmo essere in vacanza. Siamo a casa e vorremmo essere usciti. Siamo usciti e vorremmo tornare a casa. Sfasamenti tra spazio e coscienza che, oggi, risultano ampliati dai luoghi virtuali che ci piace frequentare.
L’ho notato in chi mi circonda e anche in me stesso. Siamo qui con il corpo, non con la mente. Quella spesso è su Facebook. O su Twitter. Discorriamo con le persone e, mentre gli occhi si sforzano di sostenerne gli sguardi, la mano corre al cellulare, al Blackberry, all’iPhone. È a questi apparecchi che affidiamo l’autentica sensazione del momento: «Due palle», «Anche oggi il mal di testa», «Stasera faccio la pasta con le sarde», «Ciao ciao: parto per le Maldive». Messaggi che consegniamo alla realtà in cui vorremmo essere: quella dei "contatti", degli "amici" ammessi alla nostra personale e rassicurante cerchia informatica.
Chissà: forse, a dispetto della sua estensione globale e tentacolare, la Rete risponde più a esigenze di rifugio nel privato e nel familiare che di scoperta ed esplorazione dell’ignoto. In altre parole, è una risposta alla domanda che, quando ci capita di essere spaventati, smarriti e bisognosi d’aiuto, rivolgiamo al primo amico con il quale ci riesce di venire in contatto: «Dove sei?»

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