Fossi tedesco, non so se avrei votato per Angela Merkel. Non so neppure, da europeista moderato e solo sommariamente al corrente dei fatti, se la rielezione della suddetta Merkel sia cosa buona per l’Europa, il mondo, l’Italia e, perdonate il conflitto d’interessi, il sottoscritto.
È dunque solo per una sensazione immotivata, per un istinto la cui provenienza non mi preoccupa, che mi dichiaro, oggi, contento per il successo della signora Merkel.
Nel seguire, a intermittenza, la parabola politica di Angela Merkel, nel vederla confrontarsi con gli altri leader europei, nel leggere qualche intervista qui e là e, non da ultimo, intercettando i commenti che, da più parti, si sono spesi sulla sua attività politica e sulla sua persona, ho finito per maturare la convinzione che la rielezione sia meritata.
Non credo ci sia in ballo una simpatia personale - quel che di lei vedo in tv o in rete non basta far vibrare le corde dell’empatia - e neppure scommetterei su recondite spinte sessuali: sotto questo profilo la signora è già stata malamente etichettata, proprio non vorrei aggiungere sgradevolezze a sgradevolezze.
Se, molto sommessamente, plaudo al successo elettorale di Angela Merkel non è dunque per interesse personale e neppure per personale trasporto. C’è una via di mezzo: è l’apprezzamento, al quale è difficile dare un nome, per una persona che, sul palcoscenico politico, mi è sempre sembrata muoversi con misura e con civile cortesia.
Non dubito che molti interlocutori internazionali l’abbiano trovata un tipino tosto, quando non addirittura ostile. Credo sia legittimo che, nella sua posizione, abbia di tanto in tanto mostrato una certa durezza e perfino l’ostinazione delle sue convinzioni. Ma non è questo che mi piace: apprezzo, invece, che in politica non si sia fatta strada frignando, promettendo, rottamando, trombonando, xenofobizzando, populizzando, complottando, calcolando, comprando e mentendo. Apprezzo, in fondo, che non si sia candidata in Italia.
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