Bella cosa i sondaggi e le statistiche. Tanto per incominciare, fan sempre fare bella figura. L’importante è annunciarli subito, all’inizio dell’articolo. E dunque: una ricerca americana riferisce che, in media, ogni “millenial” (così si definiscono i nati tra il 1985 e il 2005) consulta il proprio smartphone 150 volte al giorno, mentre l’89% degli intervistati ha ammesso di aver interrotto per la stessa ragione la sua ultima “interazione sociale”: una sbirciatina allo schermo nel bel mezzo di una conversazione nel corso della quale, magari, si è stati informati circa malattie e sfortune varie, lutti e rovesci economici. Ancora: il 60% degli adulti ammette di controllare le e-mail in arrivo mentre è in vacanza. Addirittura, il 6% ha riconosciuto di averlo fatto durante il travaglio della moglie: considerato che oggi molti mariti vengono ammessi in sala parto, si tratta di un exploit notevole. Un altro 6% ha invece scaricato i messaggi durante un funerale, mentre il 10% ha ammesso di averlo fatto durante la recita scolastica dei figli. Più in generale, il 33% dei partecipanti al sondaggio ha dichiarato che oltre un certo periodo di tempo senza consultare lo smartphone non sta stare. A tempo scaduto, subentra una sensazione di ansia difficile se non impossibile da domare.
Ora che abbiamo sciorinato i numeri, ci è dato di commentarli. Un procedimento probabilmente inutile perché, nel frattempo, vi sarete distratti dalla lettura e ora state con il naso puntato allo schermo del telefonino. Qualcuno di voi farà ritorno al testo e, con invidiabile stoicismo, continuerà nella lettura, ma ai fini del commento questo conta poco: la vostra attenzione è comunque inquinata, e sarà ben difficile che possiate entrare in sintonia con lo scritto come vi avrebbe permesso una lettura ininterrotta.
È proprio questo che rivela la ricerca annunciata più sopra: non ci sono più occasioni sociali capaci dal trattenerci sempre e comunque dal correre al telefonino, nel quale, evidentemente, cerchiamo un “oltre” che riempia il vuoto del “qui” dove viviamo. A farne le spese, è proprio il “qui”, al quale rivolgiamo sempre meno attenzione, partecipazione, interesse.
Un guaio grosso, questo, perché se la realtà non ha più interesse, è difficile provare empatia per quanti questa realtà popolano, ovvero il nostro prossimo.
Questa è probabilmente la ragione per cui, quando ci degniamo di prestare attenzione a ciò che ci circonda, sentiamo franare sotto i piedi il terreno della solidarietà, vediamo solo persone chiuse in sé stesse che, davanti a un incidente, a una persona in difficoltà, a un’esplosione di violenza, invece di portare il proprio contributo ricorrono, ancora una volta, al telefonino, al video catturato al volo, nel tentativo di raccogliere materiale per quell’“oltre” i cui abitanti-fantasma, o “virtuali” come preferiamo dire, le compenseranno con il “like”, il commento ammirato e divertito e perfino - termine ormai gonfio di amara ironia - con la “condivisione”.
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