E' morto

E' morto

Non intendo atteggiarmi a cinico o, peggio ancora, a insolente ma, ieri, nel veder apparire sullo schermo del computer, da Facebook e Twitter, uno dopo l’altro, senza sosta, spingendo, facendosi largo, quasi urlando, mille e più messaggi che accorrevano ad annunciare la morte di Lucio Dalla, ebbene, per un momento mi ha colto lo sconcerto.

C’era un gran sentimento di partecipazione in questo scendere in piazza, anzi in questo accalcarsi in piazza, ma anche un po’ di fretta, di ansia nell’essere i primi a dare la notizia. Un sentimento che certo non mi sento di criticare, vista la mia appartenenza a una categoria che, di questa urgenza, ha fatto una bandiera professionale. Ma non si può negare che spesso è proprio di fronte alla disumanità della morte che ci facciamo trovare più umani che mai.

Nei paesi si mettevano una volta, e si mettono ancora, i manifesti funebri. Di solito, venivano collocati in due o tre punti strategici. Chi si alzava presto la mattina, li vedeva per primo e per tutta la giornata godeva dell’inconfessabile piacere di annunciare agli altri la dipartita di questo o quest’altro compaesano. Sono convinto che c’era chi lo faceva apposta, magari poggiando su una scusa banale - una passeggiata, il giornale fresco di stampa, il latte da ritirare - pur di assicurarsi la pole position delle necrologie. Un’abitudine buffa, se volete, un po’ tenera e un po’ lugubre, ma un tratto specifico da esseri umani: pettegoli, chiacchieroni, vanitosi, anche ridicoli. E per questo ancora vivi.

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