Ora, che si sia trascorso il Natale farcendoci come consiglieri regionali, o acciambellandoci accanto alla stufa come, saggiamente, hanno fatto i miei gatti (avrei voluto imitarli, ma acciambellarsi è un'operazione che la mia età e la mia colonna vertebrale più non consentono), oppure giocando a tombola fino allo sfinimento o infine guardando James Stewart farsi salvare la vita da un angelo, insomma qualsiasi cosa si sia scelto di fare a Natale e a Santo Stefano, è tempo di lasciarla e di tornare all'aperto.
Sì perché, come è noto e come è ovvio, il Natale è una festa al coperto. Talmente al coperto che pare non esista altro. Tutti sono a casa e i rumori della strada non salgono più a distrarci: così, diventa facile immaginare le nostre case come piccole astronavi, bolle di calore e familiarità, intorno alle quali c'è solo un nulla del quale non vale la pena parlare.
Non è così: nel nostro mondo, fisico e reale, l'esistenza di un dentro comporta la presenza di un fuori. Nel mondo sociale, poi, il mantenimento di un "dentro" (il desco familiare) comporta la frequentazione del "fuori" (il lavoro, la ricerca del medesimo, i rapporti economici e personali).
Dovremo tornar fuori, dunque: l'accoglienza, par di capire, non sarà delle migliori. Solo a scorrere i siti dei giornali scopriamo che incombono le elezioni, spira il vento gelido dello spread, in Siria si massacrano, ma anche da noi non ci tiriamo indietro, la crisi continua, le truffe aumentano e, come se non bastasse, Martina Colombari debutta a teatro. Non c'è scampo: dobbiamo uscire e fare del nostro meglio. Che poi, a essere onesti, non è che sia cosa tanto difficile: basterebbe comportarsi all'aperto della vita sociale con quella bonomia, quell'indulgenza e anche con un poco di quella generosità che, ne sono certo, tutti a Natale abbiamo brillantemente dispiegato alla penombra confortevole della nostra intimità.
Sì perché, come è noto e come è ovvio, il Natale è una festa al coperto. Talmente al coperto che pare non esista altro. Tutti sono a casa e i rumori della strada non salgono più a distrarci: così, diventa facile immaginare le nostre case come piccole astronavi, bolle di calore e familiarità, intorno alle quali c'è solo un nulla del quale non vale la pena parlare.
Non è così: nel nostro mondo, fisico e reale, l'esistenza di un dentro comporta la presenza di un fuori. Nel mondo sociale, poi, il mantenimento di un "dentro" (il desco familiare) comporta la frequentazione del "fuori" (il lavoro, la ricerca del medesimo, i rapporti economici e personali).
Dovremo tornar fuori, dunque: l'accoglienza, par di capire, non sarà delle migliori. Solo a scorrere i siti dei giornali scopriamo che incombono le elezioni, spira il vento gelido dello spread, in Siria si massacrano, ma anche da noi non ci tiriamo indietro, la crisi continua, le truffe aumentano e, come se non bastasse, Martina Colombari debutta a teatro. Non c'è scampo: dobbiamo uscire e fare del nostro meglio. Che poi, a essere onesti, non è che sia cosa tanto difficile: basterebbe comportarsi all'aperto della vita sociale con quella bonomia, quell'indulgenza e anche con un poco di quella generosità che, ne sono certo, tutti a Natale abbiamo brillantemente dispiegato alla penombra confortevole della nostra intimità.
© RIPRODUZIONE RISERVATA