Ora che il prefetto di Perugia si è suicidato (professionalmente) al posto di quelle mamme che avrebbe voluto incoraggiare al gesto estremo, dobbiamo pensare che tutto sia a posto. Il grado di stupidità nell’amministrazione dello Stato è crollato drammaticamente e Alfano, ministro dell’Interno prontamente intervenuto, può dirsi soddisfatto.
Non è proprio così, in verità, visto che con il suo show anti-droga che, curiosamente, sembrava ispirato dalle sostanze medesime, il prefetto di cui sopra non ha fatto altro che metterci di fronte alla mentalità arretrata, pomposa e, nel migliore dei casi, pasticciona che vorremmo vedere epurata a tutti i livelli nell’amministrazione pubblica.
Strizzando l’occhio - maldestramente - a Totò e Peppino, riferendosi culturalmente a certo autoritarismo ottocentesco, tradendo un’irresistibile inclinazione al piagnisteo e allo scaricabarile, sua Eccellenza ci ha offerto un esemplare saggio delle peggiori qualità che un funzionario di Stato possa offrire.
Partendo dalla più ovvia delle premesse - la droga fa male e va combattuta - il prefetto ha chiamato a raccolta i luoghi comuni più innocui («siamo in guerra contro chi spaccia»), si è fatto forte di espressioni inutilmente trombonesche («attenzione alla decadenza della potestà genitoriale»), ha escluso per il suo ufficio funzioni evidentemente indegne («non è che possiamo fare da badante e tutore») e, una volta che ci ha creduti convinti della sua superiorità intellettuale e morale, ha rilasciato il commento da ringhiera, l’invettiva da cortile e l’editoriale da bar dello Sport: «Per me la mamma che non si accorge che un figlio è drogato ha fallito. Si deve solo suicidare».
Ohibò, dov’è finito il barocco ricamatore della «potestà genitoriale»? Forse ha ceduto un poco, rivelando la grana grossa della sua sensibilità umana. E’ rimasto il solito fanfarone da «lei non sa chi sono io». Non una mamma, di certo: ci mancherebbe solo che funzionari del genere potessero riprodursi.
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