Effetto zattera

Ho letto come sono andati i Grammy - i riconoscimenti dell’industria discografica statunitense - e ho scoperto che sono stati premiati Sam Smith e Beck, e anche Paramore e Aphex Twin, Kendrick Lamar e Clean Bandit ft. Jess Glynne. Ho letto e mi sono chiesto: ma chi... cavolo è tutta questa gente?

Sarà possibile, per un essere umano, provare la sensazione di essere una zattera che si slega dall’attracco e va alla deriva? Se è possibile, allora io sono la zattera di cui sopra: non più connessa con la terraferma della conoscenza musicale e in balìa di un oceano sonoro tanto mutevole quanto sconosciuto.

Non è perdita da poco. “Sapere” di musica pop o almeno distinguerne i contorni a grandi linee, per chi appartiene alla mia generazione, è sempre stato garanzia di “esserci”, ovvero di comprendere il mondo, introdurvi delle relazioni ed essere in grado di prevederne, più o meno, le reazioni. Tutto questo è svanito: le “playlist” di Spotify rimandano suoni che non so né definire né collegare, melodie che attingono al passato ma non appartengono al “corpus” della musica pop in cui so muovermi e che posso riconoscere.

Per la verità qualche faccia conosciuta l’ho trovata, negli articoli dedicati ai Grammy: Madonna, Paul McCartney, Ziggy Marley e mettiamoci perfino Eminem. Sbaglierò ma anche in loro, nell’eccesso di trucco e nelle esagerazioni dell’abbigliamento, ho intuito il terrore dell’“effetto zattera”, la paura di non riconoscere tra loro le Taylor e le Katy, le Jessica e i Justin, le Gaga e i Kayne.

Se però la zattera ha preso il largo dal familiare promontorio della musica pop, vedo che all’orizzonte si profila una lingua di terra sconosciuta sulla quale, presto o tardi, finirò per approdare. Sarà, credo, la terra della nostalgia musicale, del “vintage”, dell’amarcord sonoro. Sento già una melodia che da laggiù, correndo sulle onde, mi raggiunge: “Marcia funebre, Sonata n.2, op. 35”, Chopin.

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