Essere comunale

Dalla visione del Festival di Sanremo che, secondo notizie non smentite, sarebbe in corso, alcuni hanno ricavato l'impressione che l'Italia sia un paese provinciale. Lo dico perché ne ho trovato riscontro un vari commenti sui social network. A parere di molti, vivremmo appunto in una nazione malata di provincialismo.

L'impressione sarebbe maturata constatando il frettoloso e impaurito imbarazzo con cui è stata trattata Conchita Wurst, oppure l'accoglienza da ricca zia riservata a Charlize Theron, per la quale si è esibito uno spiegamento mai visto di chincaglieria e di domande banali, o ancora per l'orripilanza, permettete il termine, di certi abiti esibiti sul palco, un vero insulto alla reputazione nazionale per il ben vestire, e infine per i comici, che non si capisce come non facciano ridere, visto che possono occuparsi liberamente di qualunque argomento, con le sole insignificanti eccezioni della religione, della politica, del costume e del sesso.

Insomma, alla fine è probabile che sia vero: siamo provinciali. Va però aggiunto: non necessariamente è una brutta cosa. L'alternativa, infatti, qual è? Essere sofisticati, cosmopoliti? Comportarsi da apolidi della cultura, magari tendere verso l'esterofilia? Un certo saper vivere a scartamento internazionale può esser attribuito a singoli individui o a comunità relativamente circoscritte. Per il resto, tutti i paesi sono a modo loro "provinciali". Si potrebbe anche dire che la condizione umana è per sua natura provinciale. L'uomo nasce ed esprime se stesso in un raggio d'azione limitato, cresce in relazione a ciò che conosce, vive in grazia di ciò che gli è dato. Il problema degli italiani non è dunque quello di essere un popolo provinciale. Semmai è quello di essere incapaci di espandere questa provincia a territori più vasti. Da provinciale, infatti, l'italiano tende ostinatamente a ricondursi in una dimensione ancora più piccola, che gli è più congeniale. L'italiano, infatti, è un essere comunale.

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