Riferisce il quotidiano inglese "The Guardian" che la catena di supermercati Tesco - circa duemila punti vendita, soprattutto in Gran Bretagna e Irlanda - è stata costretta ad ammettere una verità scomoda: gli "spaghetti bolognese" che portano il suo marchio «contengono il 60 per cento di carne di cavallo». Questa notizia ha suscitato scandalo e riprovazione in Inghilterra perché lassù, come si sa, amano molto i cavalli. Il fatto è che dovrebbe suscitare altrettanto scandalo e anche maggior riprovazione quaggiù perché, in teoria, noi dovremmo amare molto gli spaghetti.
Con "spaghetti bolognese" si intende, oltre i confini dell’Italia, un’infinita teoria di versioni, per lo più indegne, di un piatto ben preciso: le tagliatelle al ragù. Nel linguaggio del turismo gastronomico internazionale - incoraggiato purtroppo da tanti menu nostrani che replicano la definizione per facilitare i turisti nel riconoscimento della pietanza - "spaghetti bolognese", invece di essere un’espressione senza significato come effettivamente è, assume il ruolo di approssimativo portabandiera di un gusto italiano volutamente frainteso.
Viene il sospetto che i problemi dell’Europa non siano lo spread, le sconnessioni economiche e le rigidità monetarie né, tantomeno, gli ultimatum della Merkel, gli scivoloni del Portogallo e della Grecia, le incertezze della Spagna e lo sgradevole folklore della politica italiana. I problemi non vengono tanto dalla presunta diffidenza reciproca delle storiche nazioni europee quanto, per paradosso, dalla presunta e fallace conoscenza che hanno l’una dell’altra. Vengono dagli "spaghetti alla bolognese" e dalle mille, mostruose genericità con cui, da questa parte delle Alpi, guardiamo all’Europa settentrionale. Il bello - e anche il brutto - e che nessuno sembra avere interesse a correggere distorsioni e a rendere più chiaro il quadro: uno ordina "spaghetti bolognese" e "spaghetti bolognese" ottiene. Fanno schifo ma non ti stravolgono le idee.
Con "spaghetti bolognese" si intende, oltre i confini dell’Italia, un’infinita teoria di versioni, per lo più indegne, di un piatto ben preciso: le tagliatelle al ragù. Nel linguaggio del turismo gastronomico internazionale - incoraggiato purtroppo da tanti menu nostrani che replicano la definizione per facilitare i turisti nel riconoscimento della pietanza - "spaghetti bolognese", invece di essere un’espressione senza significato come effettivamente è, assume il ruolo di approssimativo portabandiera di un gusto italiano volutamente frainteso.
Viene il sospetto che i problemi dell’Europa non siano lo spread, le sconnessioni economiche e le rigidità monetarie né, tantomeno, gli ultimatum della Merkel, gli scivoloni del Portogallo e della Grecia, le incertezze della Spagna e lo sgradevole folklore della politica italiana. I problemi non vengono tanto dalla presunta diffidenza reciproca delle storiche nazioni europee quanto, per paradosso, dalla presunta e fallace conoscenza che hanno l’una dell’altra. Vengono dagli "spaghetti alla bolognese" e dalle mille, mostruose genericità con cui, da questa parte delle Alpi, guardiamo all’Europa settentrionale. Il bello - e anche il brutto - e che nessuno sembra avere interesse a correggere distorsioni e a rendere più chiaro il quadro: uno ordina "spaghetti bolognese" e "spaghetti bolognese" ottiene. Fanno schifo ma non ti stravolgono le idee.
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