Facce da Nobel

Ho fatto un sogno. Capita, anche ai tipi come me, che hanno poco da dire e il coraggio badano a centellinarlo perché, insomma, proprio in abbondanza non ne hanno mai.

Ho fatto un sogno, dicevo, e può darsi sia stata la caponata, ma forse no, visto che la caponata non l’avevo mangiata. Comunque, era un bel sogno e mi sa che ve lo racconto.

In pratica, il sogno era questo: un sacco di gente vinceva il premio Nobel. Non so se per la Letteratura, la Pace, la Medicina, la Fisica, la Chimica o l’Economia. Poco importava, in realtà: era più che altro un Nobel inteso a celebrare queste persone per ringraziarle delle buone cose che avevano portato nelle nostre vite.

Nel sogno, ovunque mi voltassi vedevo facce da Nobel. E tutte sorridevano, perché avevano ricevuto la notizia che, in effetti, il premio era stato appena assegnato a loro.

C’era Bob Dylan, me lo ricordo benissimo, ma anche altra gente dal continente americano come Raymond Chandler e Louis Armstrong, Leonard Cohen e Anne Tyler. Tra i francesi (Zola e Cèzanne, Renoir padre e Renoir figlio, Marcel Proust) spuntava qualche faccia orientale: Yasujiro Ozu, Natsume Soseki. La folta pattuglia britannica (Charles Dickens, Somerset Maugham, Barbara Pym, i Beatles), chiacchierava con quella italiana (Italo Calvino, Emilio Lussu, Carlo Emilio Gadda, Dario Fo) mentre il gruppetto degli irlandesi (James Joyce, Flann O’Brien e William Butler Yeats), al solito, stazionava nei pressi del bar.

Ma ce n’erano tante e tante altre di facce: il fiume di uomini e di donne che spinge verso la nostra spiaggia conoscenza e rispetto, poesia e consolazione. Così tante che, l’anno prossimo, per comodità sarebbe il caso di annunciare chi non ha vinto il Nobel, ovvero chi si è rifiutato di contribuire al consesso umano. Purtroppo, questo sarà necessariamente un brutto sogno.

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