Se c’è del marcio anche nel badminton allora non esiste attività umana che possa considerarsi al riparo da trucchi e disonestà. A questo punto, gli organizzatori dei Giochi farebbero bene a riflettere: vogliono davvero continuare in questa opera di scoperchiamento dei vizi olimpici oppure, a salvaguardia dello spettacolo, degli sponsor e anche degli infantili sogni di noi spettatori, è preferibile che facciano finta di niente e chiudano qualche paia di occhi?
Chi può dire dove una campagna moralizzatrice potrebbe condurci? Vai a rovistare nel ping-pong e scopri una cospirazione internazionale intesa a riportare l’umanità all’Era dell’Oratorio, dai un’occhiata ai retroscena della carabina ad aria compressa e salta fuori una lobby che mira (letteralmente) a conquistare il mondo punzecchiandolo con pallini di plastica rossa.
Il fair play è una magnifica idea ma non si può pretendere che a praticarlo siano gli uomini. Fateci caso: quando, raramente, accade che un atleta compia un gesto di autentica sportività, gli stadi erompono in scroscianti applausi, i presidenti delle Repubbliche si apprestano a consegnare medaglie e le ciglia delle mamme si inumidiscono. Segno che il fair play è una rarità: se accadesse tutti i giorni passerebbe inosservato. Lo sport, invece, pretenderebbe di farlo diventare la regola: atteggiamento, lasciatemelo dire, altamente diseducativo. Finisce poi che i giovani si aspettano che qualcuno assicuri loro un futuro e, peggio ancora, quando sentono un politico promettere di aiutarli, si illudono che manterrà la parola.
Meglio sarebbe educarli da subito, a cominciare dalle Olimpiadi: per esempio, si potrebbe fare in modo che ogni stadio olimpico sia presidiato almeno da un vecchietto irascibile. Così, quando la palla finisce fuori, lui subito gliela buca.
Chi può dire dove una campagna moralizzatrice potrebbe condurci? Vai a rovistare nel ping-pong e scopri una cospirazione internazionale intesa a riportare l’umanità all’Era dell’Oratorio, dai un’occhiata ai retroscena della carabina ad aria compressa e salta fuori una lobby che mira (letteralmente) a conquistare il mondo punzecchiandolo con pallini di plastica rossa.
Il fair play è una magnifica idea ma non si può pretendere che a praticarlo siano gli uomini. Fateci caso: quando, raramente, accade che un atleta compia un gesto di autentica sportività, gli stadi erompono in scroscianti applausi, i presidenti delle Repubbliche si apprestano a consegnare medaglie e le ciglia delle mamme si inumidiscono. Segno che il fair play è una rarità: se accadesse tutti i giorni passerebbe inosservato. Lo sport, invece, pretenderebbe di farlo diventare la regola: atteggiamento, lasciatemelo dire, altamente diseducativo. Finisce poi che i giovani si aspettano che qualcuno assicuri loro un futuro e, peggio ancora, quando sentono un politico promettere di aiutarli, si illudono che manterrà la parola.
Meglio sarebbe educarli da subito, a cominciare dalle Olimpiadi: per esempio, si potrebbe fare in modo che ogni stadio olimpico sia presidiato almeno da un vecchietto irascibile. Così, quando la palla finisce fuori, lui subito gliela buca.
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