Falce e calcolatrice: verso la tecnocrazia asiatica

Uno chiude gli occhi, pensa a quando era a scuola e, con un piccolo sforzo, rivede l’aula che gli fu familiare. Quella delle elementari, magari: la più colorata e fantasiosa. Con i disegni appesi per premio alla parete, le decorazioni natalizie in licenza fino a giugno, le lettere vergate in bel corsivo sulla lavagna. E la carta geografica.

Le carte, anzi. L’Italia geografica e politica, tanto per cominciare, e poi il mondo intero: disposto come deve essere disposto, ovvero con l’America e l’Asia alle ali, l’Africa sotto e l’Europa, per diritto divino, al centro.

Uno riapre gli occhi e scopre che le cose non stanno più così, né a scuola né altrove. L’Europa al centro sarà anche un escamotage didattico per i bambini europei, ma in senso geopolitico si tratta di un anacronismo. Nel mezzo, casomai, dovremmo metterci l’America: gli Usa sono ancora la prima economia del mondo e la loro cultura ci influenza profondamente, come forse mai nella Storia nessuna cultura è riuscita a fare.

Secondo alcuni però le cose sono destinate a cambiare di nuovo, e repentinamente. Dall’Europa, all’America, all’Asia: il perno dell’influenza muove da Occidente a Oriente e difficilmente ci sarà modo di impedirlo.

Lo sostiene, tra gli altri, Parag Khanna, autore di “The future is Asian: commerce, conflict & culture in the 21st Century”. «Le democrazie industriali e la diffusione della lingua inglese - scrive Parag Khanna - ancora fanno in modo che il discorso globale sia orientato in una prospettiva occidentale, ma ci sono forti segnali che questo non durerà a lungo. Infatti, non si può più parlare della civiltà occidentale come di un’entità compatta. Le spinte populiste negli Stati Uniti e in Gran Bretagna distanziano questi Paesi da Francia e Germania, dove il libero mercato è visto in una prospettiva diversa. L’Occidente è diviso, insomma, e non rappresenta neppure la maggioranza della popolazione mondiale». I Paesi asiatici - è la conclusione di Parag Khanna - pur nelle loro differenze, vanno guadagnando fiducia nei loro mezzi e si candidano senz’altro a raccogliere il testimone.

Quando questo accadrà - l’economia cinese potrebbe superare quella americana già nel 2020 - l’Occidente dovrà essere pronto a misurarsi con un “sistema” che, al nostro palato, potrà sembrare alieno come un involtino primavera rimasto in frigo per tre settimane.

Nei grandi Paesi asiatici, per esempio, è normale che lo Stato giochi un ruolo dominante nell’economia: ai fini della crescita, da quelle parti i governi non si fanno scrupoli ad assimilare aziende e a intervenire a gamba tesa nella concorrenza, privilegiando (e spesso finanziando) una compagnia a discapito di altre. Tutto questo passa in secondo piano se la leadership politica dimostra di avere un’agenda chiara e un programma di modernizzazione che, almeno sulla carta, favorisce l’intera popolazione. Contano i risultati e nei confronti dei governi che ottengono risultati gli asiatici dimostrano tolleranza e pazienza, anche quando non nascondono risvolti autoritari che, da noi, suonerebbero allarmanti. Forse perché alla retorica dei totalitarismi hanno sostituito la fredda ma incontestabile logica numerica della tecnocrazia: falce e calcolatrice è il nuovo emblema con cui, letteralmente, dovremo fare i conti.

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