Avrete forse pensato che l'ultima domenica, quella appena trascorsa, fosse una domenica ordinaria. C'era, a renderla speciale, un sole fragoroso, questo è vero. Un bel sole è molto, moltissimo direi, ma non abbastanza per rendere domenica 24 novembre 2013 una giornata storica.
Invece lo è stata, almeno nel piccolo, vasto mondo della fiction televisiva: domenica 24 novembre 2013 Patrick Jane, protagonista della serie tv “The Mentalist”, ha scoperto chi è Red John. Gli iniziati alla serie avranno già emesso uno scoordinato singulto di sorpresa, gli altri saranno rimasti indifferenti. Ebbene, costoro sappiano che Red John è lo spietato e a quanto pare potentissimo serial killer che ha ucciso moglie e figlia del “Mentalist” e alla cui cattura il “Mentalist” medesimo si dedica anima e corpo (tra un caso e l'altro della serie). Naturalmente, in Italia Jane è ancora ben lontano dallo scoprire l'identità del killer: la nostra tv è in ritardo nelle trasmissioni rispetto a quella americana e il criminale, pertanto, rimarrà sconosciuto per un anno ancora, o giù di lì (a meno che non si voglia andare su Internet e scoprire all'istante chi è).
Nell'attesa, a noi resta l'occasione di riflettere sui grandi finali delle storie, o almeno delle storie “popolari”, quelle con poche pretese intellettuali ma costruite per dare alla gente ciò che la gente vuole. Nel caso di “The Mentalist” con il suo Red John, così come in altri mille e poi mille congegni narrativi innescati dalle fiction, il finale offre sempre e comunque un ingrediente particolare: il sentimento di liberazione. Che non è solo giustizia o vendetta e neppure la pur agognata restaurazione di pace e serenità. E' un misto di tutto ciò e, nel cuore delle persone, rappresenta il traguardo più alto: la liberazione dalle pene, il “vissero felici e contenti”. Allora bisognerebbe forse ragionare sul fatto che oggi non c'è pensiero più alto e nobile che riesca a consegnare tale sentimento con la stessa efficacia di una fiction.
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