Dedico l’articolo di oggi, 8 marzo, alla corrispondente festa della donna? Oppure faccio finta di niente, mi smarco senza dir nulla, affidando la ricorrenza agli abbondanti omaggi che le riserveranno, in ogni ambito, giornali, televisioni, siti e, speriamo, tutti quanti noi: in famiglia, al lavoro, ovunque.
Qualunque cosa faccia, la festa in oggetto è ineludibile. Parlarne significa prendere posizione, non parlarne altrettanto.
Quello che della festa mi ha sempre colpito è la sua vastità. Festeggiare la donna, a pensarci, dovrebbe essere come festeggiare tutti. Le donne, ovviamente, alle quali l’occasione è intitolata; gli uomini, anche: senza una donna, infatti, essi avrebbero incontrato qualche difficoltà nel venire al mondo e tanto dovrebbe bastare perché provassero un minimo di gratitudine.
Non è così, ovviamente. La festa della donna, non diversamente da tante feste che, qui e là nel calendario, di volta in volta sottolineano un ruolo, una funzione, un segmento sociale e storico, e lo portano all’attenzione di tutti, è intesa a risarcire un debito - in questo caso millenario - contratto dall’umanità.
Giusto che sia così, si capisce. Sarebbe bello però che, una volta provveduto a questo compito, la festa dell’8 marzo ci inducesse a pensare alla donna, ovvero alla sfera femminile del mondo, per ciò che veramente è: una forza irrinunciabile del nostro universo. Essa è paragonabile, per importanza, alla forza di gravità, all’equilibrio elastico di spinte che consente ai pianeti e alle stelle di ruotare, orbitare, accendere e spegnere le stagioni, dar luce e sottrarla, sciogliere e rapprendere i ghiacciai. Chissà? Forse la donna dovrebbe festeggiare se stessa non solo per ribadire la parità con l’uomo e l’importanza sociale che riveste, ma anche per riconoscersi quale componente naturale di fondamentale importanza, senza la quale, come senza ossigeno, l’uomo non vive e, se anche vive, si sente soffocare.
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