Forse stanchi di occuparsi di scoprire ciò che pensano gli umani - non che sia impossibile, tutt'altro: semplicemente è inutile o frustrante - alcuni ricercatori hanno deciso di dedicarsi alla Creatura Superiore: il gatto. Lo hanno fatto esaminandone ventinove esemplari, ospiti - si fa per dire - di un ricovero canadese. Onde penetrare nel mondo del pensiero felino, i ricercatori si sono affidati a un sofisticato software di analisi delle espressioni facciali.
Qualcuno a questo punto potrebbe obiettare che si tratta di una scelta azzardata, prima di tutto perché il gatto non ha una faccia ma un muso. In secondo luogo, l'impossibilità del gatto è leggendaria e a essa è dovuto gran parte del fascino che esso esercita sugli umani. Eppure i ricercatori dicono di avercela fatta e nonostante alcune difficoltà, dovute soprattutto alla presenza del pelo, ora ne sappiamo di più sul pensiero gattesco. Molto si può capire, per esempio, da come il gatto sbatte le palpebre: spesso ciò indica scarso interesse o addirittura indifferenza per l'attività dell'umano che ricade nel suo raggio visivo. Attenzione, però: se la frequenza dell'azione aumenta di parecchio, vuol dire che ha paura di qualche cosa. Altra annotazione curiosa: un gatto rilassato tende a guardare a sinistra; sotto stress, al contrario, volterà la testa a destra.
Sommando osservazioni come quelle appena riferite, i ricercatori hanno definito i tre fondamentali stati emotivi del gatto: rilassatezza, paura o frustrazione. In base a queste indicazioni, nella maggior parte dei casi i gatti stanno ponderando, macchinando un piano per ottenere qualcosa, oppure hanno paura o sono arrabbiati. Nel loro mondo non c'è spazio, sostengono i ricercatori, per felicità e tristezza, categorie sentimentali che evidentemente lasciano volentieri a noi umani. Forse inconsapevoli - ma è giusto dubitarne - di esserne spesso fonti inesauribili.
© RIPRODUZIONE RISERVATA