Impegnati da mattina a sera sulle notizie che parlano di terrorismo, pensioni e pallone, abbiamo forse un po' trascurato un servizio Ansa sulla Sardegna. D'altra parte, non è questo un territorio per noi importante come la Siria, per cui ci sentiremo senz'altro meno in colpa. Ironia a parte, le notizie che arrivano dalla meravigliosa isola resa famosa, in tempi di gossip, dalle vacanze di Berlusconi e dalle feste di Briatore, non sono buone. Secondo la Caritas, la Sardegna è precipitata al di sotto di un'accettabile soglia di povertà, ammesso che esista un livello di miseria “accettabile”.
Secondo la Caritas, sull'isola ci sono oggi 108.000 famiglie indigenti e nella sola città di Cagliari - 150.000 abitanti in tutto -, 7.000 persone “vivono in povertà assoluta”. Un quadro deprimente, al quale non si può pensare senza cercare di individuare le cause e provarsi a ipotizzare risposte adeguate. Sulle cause, pochi dubbi: la crisi economica. Sulle risposte ci sarà da accapigliarsi: molti accuseranno la politica, sia per le scelte nel campo del lavoro, sia per quelle legate all'immigrazione.
La Caritas offre però un dato sul quale riflettere: a impedire il riscatto di queste persone non è sarebbe esattamente la “guerra tra poveri” creata dall'immigrazione. Mentre la nebbie della crisi incominciano – almeno si spera - a diradarsi, sul campo rimangono vittime che hanno un tratto comune: la bassa scolarità.
Non è certo per rinfacciare loro i voti a scuola che sottolineiamo questo, quanto per evidenziare come gli investimenti in cultura – e quindi nell'istruzione – siano per un Paese sempre altamente remunerativi. Un'educazione accettabile è l'unico salvagente in tempi di crisi: alcuni pagheranno lo stesso un prezzo alto, per carità, ma le possibilità di riscatto aumenteranno comunque. Purtroppo di scuola si parla invece spesso per altre questioni, rispondenti a urgenze di polemica a presa rapida. A nessuno sembra importare che è in quelle aule che si potrebbero invece scongiurare future miserie.
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