Germania e noi

C’è in giro talmente tanta ostilità nei confronti della Germania - del Paese in generale e della squadra che stasera lo rappresenterà nella finale dei mondiali di calcio - che, quasi quasi, vien voglia di dire: «Tifo Germania».

È più difficile di quanto non si pensi dire «tifo Germania». Di colpo, scorrono davanti agli occhi immagini familiari. Tardelli che urla dopo il gol nella finale del 1982. Nino Manfredi tinto di biondo che cerca di mescolarsi ai nordici nel film “Pane e cioccolata” di Franco Brusati : non ce la fa e, al gol dell’Italia, sbrocca. E ancora, Totò che, ne “I due colonnelli”, al maggiore Kruger certo di avere «carta bianca» replica con l’invito a pulircisi il culo. Possiamo poi dimenticare Vittorio Gassman, eroe a sorpresa ne “La Grande Guerra”? Accettando di morire davanti al plotone d’esecuzione, all’ufficiale austriaco che lo interroga risponde: «Mi te disi propi un bel nient, hai capito?» E aggiunge un sonoro insulto lombardo.

Insomma, per cultura, temperamento e tradizione tutto in noi urla che stare dalla parte dei tedeschi è sbagliato. Unica eccezione conosciuta, l’armistizio permanente che i brevilinei mediterranei concessero tempo fa alle altitudini giunoniche delle Kessler e quello, più recente, ottenuto dalla bellezza indiscutibile di Claudia Schiffer. Tutto il resto racconta di nemico storico, trincee opposte, guerre mondiali, semifinali, finali, Bundesbank, spread, Merkel. Racconta del timore (in qualche caso giustificato) di sentirci disprezzati e della paura che incute la volontà ferrea intuita dietro gli occhi azzurri.

Per reazione, abbiamo sempre esaltato la nostra fantasia sulla loro organizzazione, il nostro talento sulla loro preparazione, la nostra creatività sulla loro disciplina. Chissà? Forse è venuto il momento di riconoscere che, in fondo, organizzazione, preparazione e disciplina possono essere buone qualità umane, tanto quanto fantasia, talento e creatività. Solo per stasera, magari, solo per una partita. Non per dire «tifo Germania», questo no, ma per provare l’ebbrezza di non odiarla.

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