Giorgione, che peccato

Quattro votazioni per avere un presidente della Repubblica mi sembrano francamente pochine. Ma tant’è: nulla da dire sul prescelto, Sergio Mattarella, resta soltanto la mia incompatibilità di cittadino senior per una politica che, sferzata dall’impazienza della società, ha fatto dell’impressione di speditezza uno dei suoi “mantra”.

La verità è che questa rapidità nella scelta e nell’elezione mi hanno messo fuori gioco: avevo anch’io un candidato e mi sarebbe piaciuto proporlo a tempo debito o, meglio ancora, lasciarlo cucinare nelle coscienze a fuoco lento, come è doveroso per un personaggio del genere.

Pensavo infatti che da Giorgio Napolitano sarebbe stato naturale, perfino suggestivo, passare a un altro Giorgio, anzi a un Giorgione: quel Barchiesi protagonista di un programma sul canale di Gambero Rosso, “Orto e cucina”. Troppo tardi, purtroppo, anche se, con Mattarella, non manca al Quirinale un certo accento culinario.

Se però Giorgione non potrà rappresentarmi alla presidenza, almeno per i prossimi sette anni, vorrei comunque sottolineare i vantaggi che la sua elezione avrebbe assicurato. Come Napolitano, Giorgione è un cuoco abituato a cucinare pietanze con ciò che offre l’orto. Se l’orto è povero, come lo è nella politica italiana, ci si accontenta: un trito di prezzemolo, due cipolle, un Renzi e due uova di Quagliariello.

Romano, titolare di un ristorante a Montefalco in provincia di Perugia, Barchiesi rappresenta secondo me una sintesi quasi miracolosa tra abbondanza e parsimonia, tra misura e indulgenza, ghiottoneria e contadina rusticità: l’ideale per questa fase storica così umanamente delicata.

Egli è capace di affermazioni strepitose come: «Adesso che abbiamo preparato il nostro intruglio, ci aggiungiamo un nonnulla di pecorino, giusto un’inezia: due o tre chili dovrebbero bastare». Insomma, con Giorgione al Colle forse la politica italiana avrebbe affrontato una dieta molto ricca di trigliceridi. Ma anche di umanità.

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