Quando ho letto che ieri, primo ottobre, era la Giornata internazionale degli anziani ho provato un moto di fastidio. Non perché ce l’abbia con gli anziani, tutt’altro. La ragione è che, pur non essendo ancora tecnicamente “vecchio”, gli anni vanno accumulandosi sul mio certificato di nascita e tra non molto, se avrò fortuna, potrò dirmi membro della categoria di cui sopra. L’apprendere che agli anziani, ovvero al club che, spero, tra non molto vorrà accogliermi, sia dedicata una “Giornata internazionale” mi inquieta un poco.
Vedersi intitolare una di queste ricorrenze, infatti, non è mai buon segno. Chiunque si ritrovi assegnato a una “Giornata internazionale” dovrebbe seriamente preoccuparsi. Se ci fate caso, non si proclamano mai “Giornate” per cose lievi e sicure, stabili e colme di salute: Giornata internazionale di chi non ha mai avuto il mal di denti, Giornata internazionale di quelli che non hanno la febbre, Giornata internazionale dei vincitori al Superenalotto.
No, le Giornate internazionali si riferiscono quasi sempre a categorie da proteggere e se c’è necessità di proteggere qualche cosa vuol dire che la cosa stessa è minacciata. L’avvicinarmi come una bolsa astronave a un pianeta che si annuncia “minacciato” rende la mia idea del futuro più fosca di quanto gradirei fosse.
C’è la possibilità che mi sbagli. Tanto per cominciare, il “pianeta anziani” è molto più grande e popolato di quanto non fosse appena qualche anno fa. Si calcola che entro il 2050 gli ultrasessantenni saranno, nel mondo, due miliardi, il doppio di oggi. Dagli stessi calcoli si evince anche che nel 2020 il numero totale dei cittadini “senior” supererà quello dei bambini entro i cinque anni, creando così un grave squilibrio nel mercato dei nonni “baby sitter”. Resto convinto però che, per quanto numerosi, perfino e nel 2100 gli anziani avranno una Giornata internazionale. La giovinezza, da sempre, si tutela da sé con l’illusione dell’eternità.
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