Chi dice che la scienza non può essere fantasiosa? Non io, che della ricerca apprezzo soprattutto l’aspetto zuzzurellone, quello che spinge a fare domande curiose, a cercare finanziamenti presso onorevoli istituzioni e a spenderli su una spiaggia della Thailandia.
Scherzo: la scienza è una cosa seria ma, nonostante l’apparente paradosso, non è affatto detto che non possa essere anche divertente. Soprattutto, non è detto che non possa essere stimolante sotto un profilo, diciamo così, artistico.
A volte, trovando il titolo di una ricerca, in un giornale o in un sito scientifico, mi accontento: tanto basta ad accendere la mia fantasia e a innestare su un lavoro accademico e strutturato una mia personale ricerca, decisamente più empirica ma, per quanto mi riguarda, molto stimolante.
È il caso della ricerca intitolata “La straordinaria durata della memoria infantile” nella quale si dimostra come bambini di tre anni conservano il ricordo di persone che hanno incontrato appena una volta quando avevano solo dodici mesi di vita. Non ho avuto bisogno di leggere il testo della ricerca: il titolo è bastato ad accendere la mia fantasia e a instradarmi verso una personale ricerca che fa capo a una mia intima convinzione.
Questa: l’infanzia è un’età straordinaria soprattutto per la serietà e l’importanza con cui conserva ogni scoperta. Al contrario, la senilità diventa l’età dello spreco intellettuale, la stagione in cui gli stimoli scorrono come sabbia nelle dita. Da bambini, collochiamo ogni volto nuovo su uno scaffale e stiamo ben attenti che esso mantenga la sua vividezza: un tassello che aggiungiamo alla conoscenza del mondo è un tesoro che arricchisce il nostro mondo intimo. Più tardi, le letture da noi conquistate e l’arte da noi tradotta avranno un ruolo altrettanto fondamentale e da esse ci lasceremo plasmare e trasformare.
Questa capacità di assorbire il nuovo si sclerotizza con il passare del tempo, perduta come l’elasticità delle ossa, la morbidezza della pelle e, purtroppo, l’estasi delle passioni.
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