Giustizia per Ramsete

Giustizia per Ramsete

Niente resterà impunito. Forse penserete che mai affermazione fu più vana e che, ogni giorno, resta impunita un sacco di roba: dall’arroganza del vicino che occupa il pianerottolo comune come fosse una colonia, all’egoismo dell’automobilista che, parcheggiando male, occupa due preziosi spazi. Precisiamo, allora, che molto resterà impunito se misuriamo la giustizia entro gli angusti confini della vita umana; nulla, invece, sfuggirà al giudizio posto che si ammetta il passaggio, tra il delitto e la sentenza, di un numero congruo di secoli, se non addirittura di millenni.

Non c’è altra conclusione qualora si consideri che, nei giorni scorsi, è emerso alla luce della giustizia un omicidio commesso circa tremila anni fa: quello del faraone Ramsete III. Lo stagionato "giallo" è stato risolto da un’équipe alla quale ha collaborato anche Albert Zink dell'Eurac (Accademia Europea) di Bolzano. Non importa che le prove siano state raccolte tre millenni dopo il fattaccio: esse dimostrano con inequivocabile precisione che il povero Ramsete, lungi dal morire serenamente nel suo lettone egizio, è stato sgozzato. C’è di più: l’assassino, compiuto l’orrido gesto, infilò nella ferita un amuleto allo scopo di garantire al defunto, secondo la credenza di allora, una completa guarigione nell’aldilà. Questo particolare, e altri riscontri storici, portano a individuare il colpevole nel figlio di Ramsete III, tale Pentawer, la cui mano sarebbe stata armata dal desiderio di assumere su di sé il potere del padre o forse (ma questa è una mia deduzione) dall’incazzatura per essere stato chiamato Pentawer e non, chessò, Gigi o Piersilvio.

Comunque sia, dopo averla fatta franca per tremila anni, lo sciagurato Pentawer è stato smascherato. Pensateci alla prossima assemblea di condominio; rifletteteci la prossima volta che qualcuno vi passa davanti allo sportello in Posta. Tremila anni passano presto. Nel frattempo, ripetete a bassa voce il vostro nuovo mantra: «Giustizia per Ramsete III».

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