Gli affreschi

Gli affreschi

Leggere, guardare, ascoltare ciò che accade produce una falsa sensazione: che questo Paese sia nato ieri. Ovvero che l’Italia sia una terra giovane, dove il pensiero è appena sbocciato. C’è gente che si esprime come se, nel momento stesso in cui parla, stesse inventando la lingua: ogni parola è un tentativo. Ovvio, poi, che la costruzione grammaticale sia rozza, che i tempi verbali siano essenziali. Il congiuntivo, a quel punto, sembra fisica nucleare al paragone con l’invenzione della ruota.

Non è così: la lingua italiana è nata molto tempo fa e prima ancora è nata la cultura italiana. Non dell’Italia come Nazione, d’accordo, ma dell’Italia come teatro di intelligenza. La Divina Commedia è del Milletrecento, il Principe di Machiavelli fu pubblicato nel 1532, la Venere di Botticelli è databile al 1482, le Quattro Stagioni di Vivaldi al 1723: tutte queste eccellenze della letteratura, della saggistica, dell’arte e della musica risalgono a ben prima della nascita di Gasparri e Matteo Renzi.

Oggi discutiamo, malamente, di politica, la avversiamo con i movimenti cosiddetti "anti" e condividiamo solo un profondo, ma indistinto, senso di insoddisfazione e di smarrimento. Ebbene, per ritrovare la via, potremmo per esempio considerare che, nel 1339, tale Ambrogio Lorenzetti dipinse le pareti del Palazzo Pubblico di Siena con un ciclo di affreschi noto come "Allegoria ed effetti del Buono e del Cattivo Governo". In esso, si ritrovano cose che, ora, chiameremmo "crisi", "default", "recessione", "malgoverno" e "corruzione", ma anche "crescita", "sviluppo", "pace sociale" e "giustizia". Non solo le ritroviamo, queste cose, ma, oggi come allora, sono un potente monito perché chi governa tenga a mente qual è il fine ultimo del suo agire. Basterebbe guardarli, quegli affreschi. E ricordarci che non siamo né nuovi né ignoranti. Siamo solo addormentati.

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