Ieri è stato il Gran Giorno in cui un atleta disabile, il sudafricano Oscar Pistorius, ha finalmente partecipato a una gara olimpica. L’altro ieri, era stato il Gran Giorno in cui un’atleta di colore, la deliziosa Gabrielle Douglas, ha vinto una gara di ginnastica ai Giochi: fino a poco fa, tra anelli, parallele e attrezzi vari si erano cimentati con supremo successo soltanto atleti bianchi.
Ancor prima c’era stato un altro Gran Giorno: quello della partecipazione di una donna di nazionalità saudita, la judoka Wodjan Ali Seraj Abdulrahim Shaherkani, a un torneo olimpico. L’atleta aveva ottenuto di poter gareggiare con una cuffia che le coprisse i capelli, in sostituzione del tradizionale velo islamico.
Insomma, queste di Londra sono Olimpiadi piene di Gran Giorni e, intendiamoci, è proprio una gran bella cosa: non c’è occasione migliore dei Giochi per dimostrare che l’umanità è in grado di compiere qualche concreto progresso in fatto di integrazione e di tolleranza.
Il problema, lo dico senza ironia, è che d’ora in avanti sarà difficile trovare altri Gran Giorni da celebrare alle Olimpiadi e questo, al pubblico mondiale, dispiacerà molto. C’è infatti qualcosa di drammaturgico in questi ingredienti aggiunti, senz’altro con tutte le buone intenzioni, al minestrone olimpico. Il timore è che il pubblico non si accontenterà più di celebrare i vincitori e di ammirare i recordman se le loro imprese non avranno anche un valore di emancipazione sociale.
Ben presto, i Giochi olimpici presenteranno un’immagine di Eden magnifico, fatto di giustizia, uguaglianza e comprensione. Tutto giusto, se non che gli eletti a questo paradiso terrestre farebbero bene, ogni tanto, a voltarsi indietro e controllare a quale distanza hanno lasciato noialtri comuni mortali. Con gli atleti è così: si mettono a correre e non li vedi più.
Ancor prima c’era stato un altro Gran Giorno: quello della partecipazione di una donna di nazionalità saudita, la judoka Wodjan Ali Seraj Abdulrahim Shaherkani, a un torneo olimpico. L’atleta aveva ottenuto di poter gareggiare con una cuffia che le coprisse i capelli, in sostituzione del tradizionale velo islamico.
Insomma, queste di Londra sono Olimpiadi piene di Gran Giorni e, intendiamoci, è proprio una gran bella cosa: non c’è occasione migliore dei Giochi per dimostrare che l’umanità è in grado di compiere qualche concreto progresso in fatto di integrazione e di tolleranza.
Il problema, lo dico senza ironia, è che d’ora in avanti sarà difficile trovare altri Gran Giorni da celebrare alle Olimpiadi e questo, al pubblico mondiale, dispiacerà molto. C’è infatti qualcosa di drammaturgico in questi ingredienti aggiunti, senz’altro con tutte le buone intenzioni, al minestrone olimpico. Il timore è che il pubblico non si accontenterà più di celebrare i vincitori e di ammirare i recordman se le loro imprese non avranno anche un valore di emancipazione sociale.
Ben presto, i Giochi olimpici presenteranno un’immagine di Eden magnifico, fatto di giustizia, uguaglianza e comprensione. Tutto giusto, se non che gli eletti a questo paradiso terrestre farebbero bene, ogni tanto, a voltarsi indietro e controllare a quale distanza hanno lasciato noialtri comuni mortali. Con gli atleti è così: si mettono a correre e non li vedi più.
© RIPRODUZIONE RISERVATA