Zona arancione o zona rossa? L’immaginario confine che separa il mio Comune da quello adiacente diventerà invalicabile? E ancora: Biden o Trump? Inter o Real Madrid?
La scorsa settimana queste domande sono rimaste a lungo senza risposta e ci hanno costretto a lunghe ore di incertezza. Altre domande verranno nei prossimi giorni, perché a certezza acquisita corrisponde un nuovo dilemma che si presenta all’orizzonte e così via. Questo è quanto compreso nel prezzo di quel curioso stato di esistenza che chiamiamo vita. Tutt’al più, possiamo cercare di modificare per il meglio l’approccio alle questioni aperte che incontriamo lungo il cammino cercando di renderlo il meno ansiogeno possibile.
Non dispongo di misurazioni effettuate con precisione scientifica, ma credo di non essere del tutto in errore se affermo che, date le circostanze, il nostro rifiuto per le questioni incerte ha toccato i massimi storici e, di conseguenza, l’ansia che ne deriva i relativi massimi. Tanto più che gli strumenti tecnologici ci fanno cadere continuamente in tentazione: Conte ha parlato?, si sa qualcosa del nuovo decreto?, sono scesi i contagi?, ma alla fine chi ha vinto in Pennsylvania? E giù col ditone ad aggiornare le pagine web, e vai di indice a scorrere i social e alza un po’ la televisione che mi son perso l’ultima frase di Mentana.
Desiderio di informazione, di conoscenza e, in ultima analisi, di cultura? Niente affatto:voglia di controllo, direi, desiderio che il mondo assuma la forma che vorremmo abbia (ovvero la più tranquillizzante per noi) o che almeno ne assuma una definita, stabile, perché su quella potremo incominciare a costruire nuove certezze, nuove abitudini e, in ultima analisi, nuove illusioni.
Purtroppo la tecnologia e la comunicazione, nelle sue varie declinazioni, alimentano in noi la convinzione, del tutto erronea, che una qualche forma di stabilità sia possibile, che a domanda corrisponda risposta precisa e immutabile, che ogni dubbio possa essere sciolto e ogni scenario dispiegato e illustrato, fornito di manuale d’uso e di relativo “tutorial” su YouTube. Non è così: nell’affannarci a collezionare tante piccole risposte che attraverso gli smartphone ci vengono con altrettanto affanno proposte, ci allontaniamo sempre di più da una sana, per quanto scomoda, consapevolezza: la realtà è troppo complicata, articolata, mutevole e imprevedibile per essere catturata tutta in una volta e cercare di comporla dettaglio dopo dettaglio, magari aggiustandola un poco a seconda delle nostre personali inclinazioni, è un esercizio vano e frustrante.
In questi giorni di illazioni sul contenuto dei decreti, di analisi sull’andamento della curva dei contagi e perfino di ipotesi sull’esito delle elezioni americane, qualcuno, irritato dall’incongruenza dei dati, dagli sbandamenti delle direttive politiche e dalla lentezza dello spoglio in Arizona, ha finito per sbottare: «Non ci capisco più niente!» Un’affermazione perfettamente comprensibile, sennonché dovremmo riconoscerne l’errore: non è vero che non ci capiamo “più” niente, in realtà non ci abbiamo “mai” capito niente. E se, socraticamente, possiamo dire di sapere di non sapere, non arriveremo mai a capire di non capire.
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