Guerra e guerra

Quarantaduemila poliziotti e 30 mila gendarmi: saranno in totale 72 mila gli agenti dispiegati. Pronti a tutto, a quanto pare: «Dall’attacco chimico alla presa di ostaggi, passando dal movimento di folla determinato dal panico».

Che cosa mai sta per succedere che possa giustificare una tale mobilitazione? È giunta l’ora dell’Apocalisse? Si annuncia l’invasione dei Marziani? Forse una reunion della Bonzo Dog Doo-Dah Band? Niente di tutto questo e molto di più: dal 10 giugno in Francia si giocano i campionati europei di calcio.

È così che si diverte, oggigiorno, l’Occidente: su un campo da gioco circondato dall’esercito. È così che è costretto a esprimere ogni sua forma di cultura, distrazione, fantasia, spreco ed esaltazione: dietro alle sbarre di un posto di blocco.

I settantaduemila-agenti-settantaduemila non saranno soltanto impegnati a fermare terroristi: essi dovranno anche contenere i peggiori incubi di tutte le nazioni partecipanti, e oltre. Dovranno essere occhi che spiano, cervelli che prevedono, spalle che rassicurano.

Non c’è alternativa, è ovvio: nessuno sano di mente potrebbe sottovalutare in coscienza l’allettante bersaglio che una manifestazione del genere rappresenta per chi ha fatto della paura e del fanatismo il suo mestiere. Come si ripete a ogni attentato: continuiamo a vivere, senza piegarci al ricatto. Ma questa scelta - che è anche una recita, un mantra di auto-rassicurazione - ci costa ogni volta un poco di più, e non soltanto in termini economici. Dobbiamo vedere figure pesantemente armate nelle città per sentirci protetti. Meglio se al crocicchio spunta un blindato, ancora meglio se il piazzale dell’aeroporto è presidiato da cecchini piazzati sui tetti. Se un giorno tutte queste armi spariranno, d’istinto non penseremmo che è scoppiata la pace ma che abbiamo perso la guerra.

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