Restiamo incantati davanti alle meraviglie della natura, ma anche l'uomo, quando ci si mette, è capace di stupire. Ragioni familiari e sentimentali mi portano a Hong Kong almeno una volta all'anno: quello che per un ambientalista è certo il peggior incubo, per me rappresenta invece uno straordinario esperimento, un monumento alla lotta dell'uomo contro lo spazio.
Confinati in un ambiente geografico molto ristretto, gli abitanti di Hong Kong hanno fatto dello sviluppo un concetto stratificato. Ciò che non può essere conseguito per estensione orizzontale lo si raggiunge per prolungamento verticale. Ed ecco allora che l'isola, dalla costa orlata con fettucce autostradali, è diventata un puntaspilli fitto di grattacieli. Ma non solo si mira verso l'alto: si scava, e in profondità. Tre, quattro livelli, anche di più. Le stazioni della metropolitana, raggiunta una certa immersione, incominciano a estendersi in orizzontale, ricavando nel sottosuolo spazio per nuove banchine, negozi e servizi. In superficie, alle strade e alle piazze si aggiungono cavalcavia, passaggi pedonali sospesi tra un palazzo e l'altro, interconnessioni urbane tentacolari, e la gente, un'infnita fiumana di gente, passa da uno all'altro di questi ambienti muovendosi dapprima in orizzonale, per poi lasciarsi sparare in verticale dagli ascensori con lo slancio plastico della pallina da flipper spinta sul piano di gioco.
E di fronte questo fittissimo gioco di piani sovrapposti, di stanze, atri, corridoi, mezzanini, ripostigli, tunnel, scale mobili, saloni, salette e salotti, sovrappassaggi e sottopassaggi, di fronte a questa instancabile ansia di creare e dar forma allo spazio, di immaginare e inventare metri quadri, l'animo esultante guarda al cielo ed erompe in un'esclamazione: "Dio, pensa quanta Imu ci sarebbe da tirar su
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