Maledetto Internet con le sue trappole acchiappa-fessi. E fesso io, naturalmente, che mi faccio acchiappare con facilità disarmante dalle trappole suddette. Non so che cosa mi abbia posseduto: fatto sta che ieri sono andato a infilare la mia data di nascita - remota al punto da dover essere rintracciata su un’iscrizione rupestre - in un sito web che prometteva di effettuare, al costo di un “clic”, «il conto preciso dei giorni vissuti dalla vostra nascita». Curiosità, tedio, pura e semplice dabbenaggine? Non lo sapremo mai perché il risultato della ricerca ha distratto i miei pensieri da qualsiasi possibile riflessione. Secondo il contagiorni del web io avrei vissuto, a ieri, 18.694 giorni.
All’apparire del numero di cui sopra ho fissato lo schermo affascinato e inorridito insieme. Di primo acchito, 18mila giorni e spiccioli mi sono sembrati un’enormità. Di secondo acchito, mi sono sentito invadere da un sentimento molto vicino, credo, alla depressione più acuta: 18mila giorni vissuti per arrivare a cosa? A quale saggezza, a quale esperienza, a quale ricchezza (con riferimento a quella spirituale perché sull’altra non ci faccio più conto)? Il bilancio mi è parso addirittura tragico: 18mila giorni in fila come ciliegie, consumati per non dire sprecati, brevi fiammelle nell’oscurità, estinte prima di potersi unire a produrre un fuoco visibile, se non da lontano, quantomeno da una nave di passaggio.
Ho pensato che la tendenza doveva essere invertita. «Domani si riparte daccapo!» ho esclamato, spaventando uno dei miei gatti che, ignaro di qualunque conta dei suoi giorni felini, dormiva sul divano. «Domani non sarà il giorno 18.695 ma il giorno 1 della nuova era!». Il gatto, a quel punto, se ne è andato in cucina senza prestare ascolto a nessuna altra risoluzione. Sono rimasto solo, in compagnia di una nascente perplessità. Forse sbagliavo tutto: in fondo, aver vissuto 18.694 giorni è da considerarsi una gran fortuna e l’unico accorgimento che sarà utile imprimere al domani è quello, una buona volta. di ricordarsene.
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