I 25 comandamenti

I 25 comandamenti

Non importa da quanti anni si esercita una professione. Se qualcuno si fa avanti con un consiglio, con qualche regoletta pratica, lo si sta ad ascoltare. Ecco perché, quando ho saputo che Tim Radford, già responsabile dei settori Scienze, Arti e Letteratura del «Guardian», ha proposto i suoi «comandamenti» per giornalisti, sono corso a leggermeli.
Si tratta di 25 comandamenti, quindici in più, noterete, di quelli necessari a conquistarsi un posto in cielo: Radford deve aver pensato, con qualche ragione, che i giornalisti, in quanto tali, rispetto al cristiano medio partono con un certo handicap. Ecco, in sintesi, le prime cinque regole: 1) quando scrivete, una sola persona conta: il lettore; 2) ricordate che non scrivete per impressionare chi avete appena intervistato, il vostro professore di università e neppure vostra madre: scrivete per impressionare un tizio in metropolitana; 3) ricordate che per quanto possiate sentirvi in obbligo di scrivere, nessuno si è mai sentito in obbligo di leggere; 4) il giornalismo è importante ma non troppo: evitate dunque di essere pomposi; piuttosto, esprimete idee chiare in periodi brevi; 5) nessuno mai si lamenterà perché avete reso qualcosa troppo facile da comprendere.
Da questo assaggio, già si capisce che sono ottimi consigli. Il problema è ai primi cinque ne seguono altri venti. E, come Radford non può ignorare, è ben difficile che un giornalista, qualunque giornalista, sia in grado di afferrare, ricordare, seguire e, soprattutto, riferire correttamente ben venticinque concetti di fila.

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