I cinesi siamo noi

I cinesi siamo noi

E’ curioso che all’occhio di noi occidentali le grandi masse orientali - i cinesi, in particolare - appaiano come un oceano senza volto, un "formicaio" indistinto, la perfetta rappresentazione dell’anonimato. Chi governa e vigila sul "formicaio" orientale conosce, in realtà, ogni dettaglio della vita di ciascuno e siamo piuttosto noi, con la nostra ossessione per la privacy e la diffusa richiesta di protezione del nostro nome, a diventare, per paradosso, una massa priva di facce, una società dall’identità inafferrabile.

Questo è tanto più vero oggi quando, dalla Cina, arriva la notizia che le autorità hanno approvato una serie di norme intese a regolare la navigazione su Internet nel Paese. Regole che si riducono a una conseguenza: allo scopo di meglio individuare ogni dissenso, la presenza di ciascuno in Rete sarà preventivamente schedata. Lo Stato, in altre parole, potrà sempre sapere chi si nasconde dietro a un "nickname", ottenendo così di bandire ogni forma di commento anonimo dalla grande piazza virtuale.

La notizia, in Occidente, è stata giustamente caricata di osservazioni critiche, la più evidente delle quali sottolinea come la linea imposta dal nuovo leader Xi Jinping non sembra essere affatto incoraggiante sotto il profilo delle libertà individuali. Nessuno però sembra aver colto l’occasione per analizzare l’uso dell’anonimato che, negato in Cina, spesso domina le relazioni interpersonali impostate in Rete nel nostro Occidente.

Se le leggi cinesi rappresentano un’inaccettabile e pericolosissima interferenza dello Stato, noi non dovremmo sottovalutare quell’atteggiamento culturale, dato ormai per scontato, che in Rete rende accettabile, attraverso l’anonimato, la contumelia, la calunnia e il generale avvelenamento delle discussioni. Insomma, garantito il diritto a nasconderci dovremmo sempre ricordarci che, ricorrendovi, sarebbe il caso di vergognarci almeno un poco.

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