I miei nemici

I miei nemici

Se c’è una cosa che mi riesce senza difficoltà è di riconoscere i nemici. Sono il primo a esserne sorpreso perché, da più parti, si sottolinea come, oggigiorno, sia particolarmente difficile individuare i propri nemici.

C’è per esempio chi sostiene che se sei tollerante, o anche solo indifferente, e non ti occupi della provenienza di chi ti circonda, in realtà sei sprovveduto perché non ti accorgi che i nemici si trovano proprio lì, tra quelli che vogliono importi il loro modo di vivere. Altri sostengono che i primi sbagliano, che non ci sono veri nemici tra gli altri, ma solo tra gli uni, cioè quelli che indicano gli altri come nemici. I nemici da temere sarebbero invece proprio loro, gli uni appunto, perché sono intolleranti, chiusi, razzisti.

La diatriba mi sembra un poco assurda perché, per riconoscere i nemici, basta aprire gli occhi e guardare. Facciamo un esempio: chiunque - è successo in Afghanistan - abbia rapito due ragazzini, un maschietto di dodici anni e una bambina di sei, per farli ritrovare decapitati, è certamente mio nemico. Non vedo come si possano nutrire dubbi in proposito. Facciamo un altro esempio: chiunque - è successo in Norvegia - metta bombe e, sparando con un fucile da combattimento, faccia 77 vittime, è pure mio nemico. Anche qui, nessun tentennamento.

Si dirà che banalizzo: il nemico sta nella cultura che lo muove, non solo nelle azioni che compie, e bisogna sapere da che parte stare, soprattutto quando è in atto una guerra di civiltà. Che dire? Non ci credo. A me pare che il male abbia un’evidenza lampante. Questo non lo fa semplice, o poco profondo: soltanto, lo rende evidente. Se invece per riconoscere i nemici si devono scegliere prima gli amici, e ad essi giurare assoluta fedeltà intellettuale, temo si rischi di diventare un po’ schiavi di questi amici e, come tali, tremendi nemici di se stessi.

© RIPRODUZIONE RISERVATA