Quale mostro preferite? Quello vero, arrivato dopo 24 o 36 faticose ore dall'attentato, o quello molto più prontamente fornito dalla Rete, infilato sotto la porta di Facebook e di Twitter? Cinquemila persone, forse di più, non hanno avuto esitazioni e, sabato pomeriggio, hanno rilanciato più e più volte l’immagine di un tale, occhiali scuri e cappello sugli occhi, assicurando che era proprio lui il mostro di Brindisi. Peccato che non lo fosse.
Fasullo quanto può esserlo una banconota da tre euro, il primo attentatore ha tuttavia un merito: quello di avere riempito un vuoto. Potevano, i cittadini del web, aspettare ore e ore, girar le dita inoperose sulla tastiera, perdere lo sguardo vuoto oltre il monitor del computer, senza disporre subito di un’immagine dell’orco, su cui avevano già speso ogni commento a secco, con il quale si era stuzzicato il loro interesse e si era affermato un fatto - l’esistenza di una foto - ventilando pertanto una conseguenza, che in Rete è data per scontata - l’immediata pubblicazione della medesima?
No, evidentemente. E infatti per qualche ora tra Facebook e Twitter una marea umana si è impegnata a palleggiarsi un falso, coprendolo di insulti che avrebbero meritato ben altra destinazione. Con i suoi occhiali scuri e il suo cappelluccio sugli occhi, l’attentatore fasullo rispondeva oltretutto al perfetto cliché dell’"uomo nero", un cattivo molto più aderente all’immaginario inquinato dalle fiction del cattivo vero, pubblicato più tardi e rivelatosi, con la sua giacchetta, la camiciola bianca e le scarpe da vela, una conferma di ciò che si chiama "banalità del male".
Ma non c’era alternativa, se non quella di aspettare la conclusione di un processo di indagine e verifica, di riscontro ed elaborazione ad alcuni noto come giornalismo. Roba noiosa. D’altri tempi.
Fasullo quanto può esserlo una banconota da tre euro, il primo attentatore ha tuttavia un merito: quello di avere riempito un vuoto. Potevano, i cittadini del web, aspettare ore e ore, girar le dita inoperose sulla tastiera, perdere lo sguardo vuoto oltre il monitor del computer, senza disporre subito di un’immagine dell’orco, su cui avevano già speso ogni commento a secco, con il quale si era stuzzicato il loro interesse e si era affermato un fatto - l’esistenza di una foto - ventilando pertanto una conseguenza, che in Rete è data per scontata - l’immediata pubblicazione della medesima?
No, evidentemente. E infatti per qualche ora tra Facebook e Twitter una marea umana si è impegnata a palleggiarsi un falso, coprendolo di insulti che avrebbero meritato ben altra destinazione. Con i suoi occhiali scuri e il suo cappelluccio sugli occhi, l’attentatore fasullo rispondeva oltretutto al perfetto cliché dell’"uomo nero", un cattivo molto più aderente all’immaginario inquinato dalle fiction del cattivo vero, pubblicato più tardi e rivelatosi, con la sua giacchetta, la camiciola bianca e le scarpe da vela, una conferma di ciò che si chiama "banalità del male".
Ma non c’era alternativa, se non quella di aspettare la conclusione di un processo di indagine e verifica, di riscontro ed elaborazione ad alcuni noto come giornalismo. Roba noiosa. D’altri tempi.
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