Avete presente, credo, i buchi neri. Non pensate al bilancio dello Stato o agli Iban dei partiti. I “buchi neri” sono infatti cose serie, anche se si trovano molto lontano da noi. Descritti un tanto al chilo, sono stelle che hanno finito il carburante e pertanto, non più sostenute dalle forze intrinseche alla combustione, implodono, generando un’immensa forza di gravità che attrae qualsiasi cosa (corpo celeste, particella, radiazione) si trovi nei paraggi. Si chiamano buchi neri perché tra le cose che attraggono c’è anche la luce e la forza di ”risucchio” è talmente forte che neppure un singolo fotone - particella della luce - può uscirne: il cuore di questi mostruosi oggetti, dunque, non può che essere nero.
A meno che non lo sia. A turbare la nostra consolidata concezione di questa “creatura” cosmica interviene nientemeno che Stephen Hawking, star mondiale dell’astrofisica, il quale ha recentemente annunciato che i buchi neri potrebbero non essere così neri. Questo, secondo Hawking, risolverebbe un conflitto tra la relatività generale di Einstein ( secondo la quale nulla può “uscire” dai buchi) e la meccanica quantistica che pretende invece di rintracciare “informazioni” su quanto inghiottito.
Non sono certo di aver spiegato bene la questione ma quello che conta, per me, è indirizzare la vostra attenzione verso questo tipo di studi. Siamo infatti a una frontiera della fisica teorica dove le certezze sono così rarefatte che l’indagine della realtà diventa quasi pensiero puro, ovvero matematica più immaginazione. Abituati a muoverci in un mondo di relazioni dominate da capriccio e egoismo e da calcolo personale a brevissima gittata, stupisce constatare l’esistenza di qualcuno che, con la sola forza della mente, ancora tenta di spiegare la natura più intima del tutto. Pronto, se dovesse sbagliarsi, a cancellare e a ricominciare. E rassegnato, se dovesse invece aver ragione, a lasciare che la sua scoperta finisca nel buco nero della nostra ignoranza.
© RIPRODUZIONE RISERVATA