I primi dati

La vita è fatta di incontri, di congedi e di ritrovamenti. Si conoscono persone, le si perde di vista, si torna a incontrarle di nuovo. A volte questi ritrovamenti sono inaspettati: «Goffredo! Come stai? Quanto tempo! Non eri tu che mi dovevi cento euro?» In altre occasioni, il ricongiungimento è previsto, atteso e accolto come si accoglie, festosamente ma senza sorpresa, il panettone a Natale. Ciò accade quando la vecchia conoscenza in questione non è una persona ma un modo di dire. Capita di non sentire certe frasi  per lungo tempo e poi ritrovarle di colpo.

Ieri - giornata di risultati elettorali - ero certo che avrei ritrovato una logora eppur cara espressione. Non sono stato deluso: alla comparsa delle prime "proiezioni" sui teleschermi uno dei commentatori ha lottato un poco con se stesso poi, di fronte all’ineluttabilità delle cose, ha sbracato, pronunciando senza remore la fatidica frase: «Se i primi dati fossero confermati...»

Ho sorriso perché sapevo - non per particolare acume ma per esperienza - che da lì in avanti sarebbe incominciato, come dicono a Oxford, "il cinema". «Se i primi dati fossero confermati» è la pietra filosofale della dialettica elettorale: trasforma in certezza tutto ciò che certo non è. È il primo gradino, illogico ma comunemente accettato, della lunga scala che conduce al paradiso della sparata libera, della parola usata qui e subito per riempire spazio e tempo. Domani sarà tutto diverso? Domani ogni ragionamento sarà smentito dai fatti? Poco importa: ciò che conta è riempire di ipotesi il momento attuale, perché nessuno più si accontenta della realtà: c’è sempre bisogno di un progetto, per quanto vago o improbabile, c’è costante necessità di vantare la propria preveggenza, per quanto improbabile o fievole. Spesso, con chi parla così, ovvero con chi fa un uso tanto approssimativo dell’intelligenza, abbiamo solo un atteggiamento praticabile: «Se i primi dati fossero confermati lei, caro signore, risulterebbe un perfetto imbecille».

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