Nei tanti, tantissimi confronti verbali che, dalla mattina presto a notte fonda, dominano il panorama televisivo non sempre, anzi quasi mai, è possibile stabilire un vincitore.
Proprio come accade tra certi lottatori, il contendente avvinghia la propria opinione a quella dell’avversario bloccando così il confronto in una sorta di stallo nel quale lo spettatore può vedere, quasi fosse un’illusione ottica, il successo della parte alla quale si sente più affine. In molti casi, poi, lo spettatore stesso non ha la forza né la voglia di stabilire chi abbia prevalso in un epico scontro di meningi tra Santanché e Barbacetto o tra Gasparri e Palombelli: egli, o ella, vivacchia privandosi di tanta determinazione.
Va detto che, almeno fino a ieri, c’era un infallibile indicatore che permetteva di stabilire, più che il vincitore, il sicuro sconfitto. Non appena uno dei contendenti se ne usciva con il classico «ben altri sono i problemi», sapevamo che, pur senza ammetterlo, stava alzando bandiera bianca. Il «ben altri» si presentava in varie forme: «Mentre problemi urgentissimi affliggono il Paese, noi perdiamo tempo a discutere di...»; oppure «Parlano di questo per distrarre la gente e far dimenticare quali sono le questioni importanti». Qualunque variante del «ben altri» venisse adottata, il messaggio autentico traspariva in controluce: «Non ho più argomenti, parliamo d’altro».
Negli ultimi tempi però l’uso del «ben altro» è diventato talmente frequente, scoperto, arrogante per non dire sfacciatamente stupido, da far pensare che, tutti, contendenti e spettatori, personaggi televisivi e teleutenti, abbiano assorbito e digerito questo puerile espediente al punto da considerarlo, a tutti gli effetti, un argomento sensato.
Pare necessario, dunque, un appello alla lucidità collettiva: non appena sentite «ben altro» indietreggiate, quando qualcuno, nel mezzo di una discussione punta il dito altrove, smascherate la sua sconfitta. Sarà una piccola ma impagabile soddisfazione. Anche se, me ne rendo conto, ben altri sono i problemi.
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