Il 2021? È meglio non sapere come sarà

Ci saranno, forse, meno fuochi d’artificio del solito a salutare, in zona rossa, l’uscita di scena di questo infelice 2020, ma al rumore dei mortaretti si sostituirà quello altrettanto perentorio delle nostre maledizioni. Da tempo l’anno in corso è accompagnato da invettive, insulti, inviti a levarsi di mezzo, scherzi più o meno azzeccati sulla sua nefandezza: in questi ultimi giorni si prevede il crescendo finale. Il 2020 lascerà il palcoscenico in un tripudio di pernacchie, imprecazioni e anatemi.

Nulla potrà trattenerci dallo scagliarci contro un calendario che, ovviamente, in sé non ha e non può avere alcuna colpa e che sconta soltanto la coincidenza con una sventura sanitaria globale. Non mancheremo comunque di prendercela con lui, perché più lo maltrattiamo più pensiamo di liberarci, di esorcizzare quasi, le nostre stesse esistenze imperfette, segnate da mille cicatrici, in ognuna delle quali è inciso il ricordo di altrettante sfortune, sofferenze, occasioni perdute, mancanze e veri e propri errori.

Impossibile, allora, non pensare al 2021 come a una pagina bianca, un nuovo inizio, perfino a una “rinascita”. L’occasione, del tutto immaginaria ma spiritualmente potente, di una svolta collettiva: il 2020 è andato come è andato, ormai non c’è più niente da fare, il prossimo anno sarà diverso; le costellazioni si allineeranno in modo più felice, il complesso ingranaggio che spinge avanti le nostre vite, composto da casualità, desiderio, impegno, fede, ostinazione, rischio e speranza, si metterà finalmente a girare in scioltezza, portandoci via, lontano, là dove l’aria è pura e il tempo disponibile ancora non è accartocciato, sporcato da fallimenti, disastri, delusioni. Un esercizio a metà tra l’illusione e l’auto-condizionamento che, sia chiaro, non mi vede contrario per principio. Opporsi sarebbe peraltro inutile, perché il desiderio di questo perfetto lavacro è, in noi, profondo e necessario.

Potrebbe essere utile però intercettare un’altra prospettiva, qualcosa che ci inviti a considerare il futuro - perché è questo che stiamo facendo - in una prospettiva diversa, più filosofica.

Karl Jaspers, psichiatra oltre che filosofo, ebbe a scrivere al riguardo alcune pagine interessanti, in particolare circa il desiderio di prevedibilità degli eventi futuri. Ecco che cosa aveva da dire in proposito:

«La dignità dell’uomo nella sua riflessione sul futuro consiste sia nella proiezione del possibile, sia nel non-sapere basato sul sapere, il fondamentale “non si sa che cosa possa avvenire”. L’elemento più stimolante della nostra vita è non conoscere il futuro, ma contribuire a realizzarlo e scorgerlo di fronte a noi incalcolabile nella sua interezza. Se conoscessimo il futuro sarebbe la morte della nostra anima.

«Quando siamo erroneamente convinti che gli eventi seguiranno nell’insieme un determinato corso, questo, se indesiderato, ci paralizza e, se desiderato, favorisce la nostra azione in situazioni fallimentari attraverso la certezza dell’immancabile successo finale, ma anche qui a prezzo di una falsità, di una limitatezza d’animo, di una sleale arroganza che privano di nobiltà un successo del genere, ammesso per un attimo che si verifichi... Ma solo il presente è reale. L’assoluta certezza del futuro può derubare del presente».

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