Esprimersi con chiarezza è una qualità preziosa. Per un giornalista, dovrebbe essere un imperativo, una ricerca quotidiana. Non so se ci arriverò, ma mi immagino, il giorno della pensione, felice se avrò saputo scrivere almeno un articolo - l’ultimo, magari - di totale limpidità e perfetta comprensione e triste se, al contrario, non avrò saputo sfuggire alla confusione e all’indecifrabilità.
Nel rileggere le frasi qui sopra, mi rendo conto che ho ancora tanto lavoro da fare, e dunque mi ci metto subito. Prima cosa, credo, è chiedersi che cosa sia in effetti la chiarezza espressiva.
Molto sembrano convinti: il modello da imitare è quello di certi leader - politici, opinionisti o imprenditori - che, come si dice, «parlano come mangiano». Questo incitamento all’equiparazione tra il fraseggiare e l’atto del nutrirsi mi sembra bizzarro, tanto più che, spesso, viene mosso da chi, delle parole, fa un uso che, se volessimo cercare una corrispondenza biologica, saremmo costretti a localizzarla agli antipodi della bocca.
Ma ecco che torno a esprimermi in modo complicato e pretenzioso. Il problema sta forse nei miei modelli: a coloro che fanno del mangiare e del parlare un’attività coincidente, preferisco altri soggetti, meno gastronomici forse, come per esempio Richard P. Feynman.
Era costui un professore di fisica, premio Nobel nel 1965, autore di importanti contributi alla meccanica quantistica e, dunque, specializzato nell’argomento più intricato e oscuro immaginabile. Eppure, i suoi libri e le sue “lectures”, pubblicate online, sono un esempio straordinario di potenza espressiva, di entusiasmo nel comunicare e di fede nell’intelligenza.
Intendiamoci: non basta leggere Feynman per comprendere la fisica dei quanti, ma almeno si ha la sensazione di potercela fare. Il che è un regalo bellissimo, da paragonare per contrasto alla quotidiana truffa perpetrata da chi, con l’aria di parlar chiaro, ci tiene lontano dal sapere.
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