Il bivacco del sindaco

Dal notiziario Ansa, leggiamo: «Il sindaco di Imperia ha firmato l’ordinanza che vieta la dimora e il bivacco sul suolo pubblico della città. Il provvedimento ha valenza su tutto il territorio comunale e in particolare nelle intersezioni stradali e vicino a queste, nelle vie e nelle piazze del centro abitato come individuato dall’apposita delibera di Giunta, in mercati e fiere e all’ingresso di cimiteri, ospedali e luoghi di culto e in corrispondenza di servizi commerciali o pubblici e scuole».

Quello di Imperia non è il primo sindaco a imporre un’ordinanza per circoscrivere i luoghi di bivacco dei senzatetto. Semmai, a ogni ordinanza cambia la definizione che l’accompagna: in qualche caso si è parlato di “ordinanza anti-clochard”, oppure, in un impeto di durezza verbale, di “città vietata ai barboni”. C’è anche chi, più cauto e forse scaltro, approfitta del termine inglese “homeless” (letteralmente: “senza casa”) e non manca mai il contributo di quanti si propongono come socialmente sensibili: ecco allora che si parla di “disperati”, di “sfortunati” e di “ultimi”, ma nel senso voluto dalla parabola della vigna: destinati a diventare “primi”.

Quello che non si dice mai è che tali provvedimenti, mirati al recupero del “decoro” pubblico, un obiettivo in sé più nobile di quel che sembri, sono in realtà ordinanze contro la povertà. Perché non importa quanto efficaci siano le politiche sociali di un Comune e neppure conta quanti posti letto una comunità sappia mettere a disposizione di chi ha bisogno: “vietare” di dormire per strada, sotto un portico o sotto un ponte, è un atto di convenienza politica difficilmente giustificabile. È come voler proibire alla gente di ammalarsi, oppure di essere triste e depressa. Se si vuole eliminare il problema, bisogna fare molto di più e molto più in profondità. Ma per arrivarci ci vorrebbe un’altra politica, da inaugurare con un’ordinanza che vieti a certi sindaci di bivaccare in Comune.

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