Il cambiamento

Il cambiamento

Il cambiamento un tempo era considerato un’utopia. Non più: oggi è un incubo. C’era chi sognava un ribaltamento generale dei rapporti umani e sociali: una rivoluzione, appunto. Ora assistiamo al frenetico tentativo di apportare modifiche - secondarie - a un impianto collettivo che si considera acquisito non tanto per convinzione quanto per ignavia.

Non è solo l’ormai patetico impazzimento del governo che, di giorno in giorno, di ora in ora, fronteggia l’emergenza economico-finanziaria proponendo tasse e poi ritirandole, allungando le pensioni per accorciarle di nuovo, calcolando l’imponderabile al centesimo e il concreto a spanne. È tutta la società - o meglio, la sua parte che si suppone pensante - a procedere per tentativi, per stimoli contingenti, per emergenze subitanee. La scienza incalza una morale assopita: che fare con le staminali? con la manipolazione genetica? con l’eutanasia? La globalizzazione scrive e riscrive i manuali etici: accogliere? respingere? come comportarsi se un marziano atterra in casa? ha diritto al permesso di soggiorno? Forse, ma solo se atterra, appunto, in soggiorno.

Si scrivono leggi e regole (che si vorrebbero immutabili) su acque paludose per solcare le quali servirebbe invece la bussola del buon senso. E si dimentica che il buon senso funziona solo a livello individuale; trasportato sul piano collettivo, diventa "senso comune", un batterio portatore di pregiudizi. Che fare, dunque? Io dico che, per il momento, bisognerebbe lasciare le cose come non stanno.

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